(Son)
All the times that I cried, keeping all the things I knew inside,
Its hard, but its harder to ignore it.
If they were right, Id agree, but its them you know not me.
Now theres a way and I know that I have to go away.
I know I have to go.
(father-- stay stay stay, why must you go and
Make this decision alone? )
"Uomini, uomini del mio presente non mi consola l'abitudine a questa mia forzata solitudine, io non pretendo il mondo intero vorrei soltanto avere un luogo, un posto più sincero, dove un bel giorno, magari molto presto, io finalmente possa dire: questo è il mio posto. Dove rinasca non so come e quando il senso di uno sforzo collettivo per ritrovare il mondo."
(G. Gaber e S. Luporini - Canzone dell'appartenenza)
Mi sto rendendo conto che col passare del tempo e delle vicende della vita sta cambiando il modo con cui mi relaziono con le persone e con cui affronto la quotidianità. Se un tempo ero disposto a “passare sopra” ad un certo tipo di atteggiamento delle persone, a certe “paturnie”, ora no. L’esperienza della vita, il dover sempre e comunque affrontare difficoltà di vario genere e il trascorre la maggior parte del proprio tempo nell’ascoltare, comprendere e risolvere i problemi di tutti (trascurando il più delle volte le esigenze personali) inevitabilmente, prima o poi, ti cambia. Diventi via via sempre meno disposto ad accettare un certo tipo di pressapochismo, insofferente nei confronti del disinteresse e degli atteggiamenti menefreghisti o ipocriti.
E’ troppo facile, di fronte ad un problema o una difficoltà (di qualunque genere) “passare la palla” al primo che capita sotto tiro (di solito quasi sempre le medesime persone) e poi disinteressarsi completamente della cosa; non c’è ragione, non c’è scusa al disinteresse e tutto ciò non può in alcun modo definirsi collaborazione. C’è una motivazione di fondo ad ogni nostra attività o scelta che compiamo nella vita ed è la passione; è un mix di razionalità e sana follia che ci sprona a fare, a migliorarci ogni giorno un po’ di più, a sopportare spesso sacrifici e rinunce anche gravose perché un obiettivo o un risultato importante possa essere raggiunto.La passione, l’interesse verso ciò che si fa, unito alla determinazione, alla capacità di collaborare e ad un buon livello di senso di responsabilità sono qualità assolutamente necessarie per soddisfare il desiderio insito in ciascuno di realizzare un proprio progetto di vita.
Purtroppo mi sto rendendo conto sempre più spesso che questi principi non sempre sono condivisi e ben compresi da tutti. Troppo spesso a fronte di un problema comune mi sento dire come unica forma di collaborazione un ben servito “non mi interessa”, troppo di frequente nel momento del dialogo e del confronto (da sempre anticamera alla risoluzione dei problemi) mi trovo di fronte alla difficoltà del mancato ascolto, della tentata imposizione, dell’unica capacità di proporre altri problemi come soluzione .
No così non va e non può essere. Il dialogo prevede la capacità di sapere parlare, ma soprattutto di sapere ascoltare con serenità e con un pizzico di umiltà mettendo da parte ogni preconcetto, ogni costruzione mentale preventiva, ogni finto orgoglio che nasconde la paura del nuovo o dello sconosciuto. Il sapersi confrontare significa cogliere l’opportunità di crescere e migliorarsi insieme. Questo punto è tanto più importante quando l’obiettivo di fondo è condiviso (o dovrebbe essere condiviso) da un gruppo.
Non è possibile essere gruppo finchè non si dispone di questa base da cui partire e finchè si vive di preconcetti, di finti orgogli o malcelate paure. Se manca una motivazione al costante miglioramento (personale in primis) ,l’interesse e una naturale curiosità in ciò che si fa tutto diviene più difficile.Degeneranoimmediatamente la qualità vita e dei rapporti; si perde la capacità di realizzare se stessi e le proprie inclinazioni riducendo la propria esistenza in un banale e inutile “tirare a campare”in una quotidiana e ordinaria sopravvivenza. Le motivazioni si perdono nel grigiore della routine, l’insoddisfazione monta e ogni giorno diventa una inutile quanto rischiosa lotta per la propria e personale sopravvivenza.
Certo, il sapersi aprire al nuovo, al confronto e all’esperienza comporta dei rischi: rompere il guscio protettivo (o scusa) della routine è una scelta che immediatamente richiede il sapersi mettere in gioco e la capacità di affrontare le difficoltà. Troppo facile criticare senza mai proporre o mettersi in gioco in prima persona; se la bolla della routine e dell’ordinaria amministrazione esplodesse in questo momento verrebbe meno il motivo del criticare e forse il paravento dietro a cui nascondersi, lasciandoci nudi di fronte alle nostre responsabilità.
Soffermiamoci ora su un altro concetto spesso abusato o travisato nel significato: il rispetto. Bene, vediamo di capire cos’è davvero questo valore. C’è un primo livello di base, dovuto a tutti e da pretendere da ciascuno, che ci proviene dalla nostra esperienza personale, dal nostro sentire, dalla nostra formazione e da quello che viene comunemente definito “nostro senso comune”.Il secondo livello, oggettivamente più difficile da ottenere, è quello che ogni giorno costruiamo col nostro agire e con la testimonianza quotidiana della nostra esistenza. Questo scaturisce naturalmente dal modo con cui ci relazioniamo agli altri, nel modo di porgerci e nel modo (più o meno responsabile) con cui si affrontano le vicende della vita. Il secondo livello del rispetto è naturalmente correlato col senso dell’appartenenza ad un gruppo di qualunque genere esso sia: famiglia, amicizie, lavoro, società civile: solo sviluppando una buona dose di comprensione, un buon livello di dialogo e dimostrando quotidianamente umiltà e collaborazione si può ottenere il rispetto e la necessaria confidenza che consente ad un rapporto umano di trasformarsi in qualcosa in più della semplice conoscenza.Purtroppo la vita non è mai sino in fondo come la si vorrebbe, e non è possibile evitare le situazioni di difficoltà e di dolore che prima o poi a turno toccano tutti; proprio in questi frangenti deve scaturire forte e naturale il rispetto, la collaborazione e il supporto ad ogni livello. Non esiste un rispetto o un’amicizia per l’ora dello svago e della spensieratezza e un diverso atteggiamento per il momento dei problemi. Non esistono scuse da accampare: piuttosto ammettiamo in sincerità e pacatezza la realtà delle cose che quanto sembrava non è nella realtà senza prese in giro.
Se si pretende rispetto lo si deve anche concedere, non solo in apparenza: quando si cerca il dialogo questo appello deve essere sempre accolto, mai troncato sul nascere. Chi cerca di dialogare ragionando o cercando di affrontare tematiche di interesse comune, dovrebbe essere quanto meno ascoltato. Chi sente di avere qualcosa da dire ha il sacrosanto diritto di avere propria voce in capitolo: troppo spesso si ritiene più giusto reprimere opinioni, punti di vista e suggerimenti per finte paure, per posizioni preconcette: è sempre meglio esporre e confrontarsi piuttosto che reprimere dentro di sé, sedimentando nel tempo pericolose insofferenze e reprimendo nella suddetta routine la propria personalità. Il significato stesso del dialogo è il primo mattone della convivenza sociale e di in gruppo in genere: dato un problema o un tema ciascuno di noi (se supportato da argomenti validi) è invitato ad argomentare pubblicamente una propria opinione, una proposta, una soluzione. Solo in questo modo è possibile la diffusione dell’informazione, il possibile dibattito eil necessario confronto tra le persone al fine di raggiungere un obiettivo comune. Naturalmente questo implica la capacità (purtroppo sempre più rara) di ascolto da parte degli altri : dalla pazienza dell’ascolto e della comprensione c’è sempre qualcosa di piccolo o grande da imparare, qualcosa di utile da apprendere per la propria formazione personale e da mettere da parte per futuri usi. Troppo comodo non ascoltare confidando che chi in quel momento sta parlando ci sia sempre, sempre disponibile, a ripetere allo sfinimento le stesse cose o peggio ancora presupponendo che ciò che si sta dicendo non sia di minimo interesse per se stessi o gli altri. Non è così che si crea partecipazione, non è così che si crea collaborazione, non è così che si da e si ottiene rispetto personale, non è così che si crea la propria libertà.
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La libertà
Giorgio Gaber
(1972)
Vorrei essere libero, libero come un uomo.
Vorrei essere libero come un uomo.
Come un uomo appena nato che ha di fronte solamente la natura
e cammina dentro un bosco con la gioia di inseguire un’avventura,
sempre libero e vitale, fa l’amore come fosse un animale,
incosciente come un uomo compiaciuto della propria libertà.
La libertà non è star sopra un albero,
non è neanche il volo di un moscone,
la libertà non è uno spazio libero,
libertà è partecipazione.
Vorrei essere libero, libero come un uomo.
Come un uomo che ha bisogno di spaziare con la propria fantasia
e che trova questo spazio solamente nella sua democrazia,
che ha il diritto di votare e che passa la sua vita a delegare
e nel farsi comandare ha trovato la sua nuova libertà.
La libertà non è star sopra un albero,
non è neanche avere un’opinione,
la libertà non è uno spazio libero,
libertà è partecipazione.
La libertà non è star sopra un albero,
non è neanche il volo di un moscone,
la libertà non è uno spazio libero,
libertà è partecipazione.
Vorrei essere libero, libero come un uomo.
Come l’uomo più evoluto che si innalza con la propria intelligenza
e che sfida la natura con la forza incontrastata della scienza,
con addosso l’entusiasmo di spaziare senza limiti nel cosmo
e convinto che la forza del pensiero sia la sola libertà.
Per fortuna non siamo tutti uguali e le eccezioni esistono. Eccome se esistono, me le tengo strette coi denti e ringrazio il destino che me le ha fatte incontrare nel percorso della vita.
I lettori poco ferrati in materia “lupestre” si chiederanno la ragione dei titolo, i frequentatori abituali o occasionali delle vicende della Fattoria MacKenzie avranno sicuramente riconosciuto il tipico saluto rivolto da Enrico La Talpa al protagonista di questo post: Lupo Alberto. Riprendiamo il discorso dei “fumetti alternativi”soffermandoci questa volta sulla più famosa ed importante creazione di Guido “Silver” Silvestri. Il lupastro blu mio omonimo nasce nel febbraio 1974 e fa il suo debutto in società sulle pagine del “Corriere dei Ragazzi” in formato di strisce periodiche; dieci anni dopoapparizioni nascono i primi albi mensili dedicati al personaggio e in formati più o meno simili sono tutt’ora pubblicati e presenti nelle edicole.
Dopo questa breve introduzione addentriamocinel microcosmo di Lupo Alberto e dei personaggi delle sue storie.Sfigato,anarchico, pigro, perennemente disoccupato e affamato il nostro Lupo vive nel bosco sulla collina che sovrasta la Fattoria MacKenzie in un piccolo angolo tra gli alberi arredato di con materiale di fortuna (uno scalcinato comò, una bagnarola per le esigenze personali …) e collegato al resto del mondo con un preistorico telefono “old style” attaccato ad un tronco.Laggiù. a valle del bosco, c’è invece tutto il mondo dove si svolgono le avventure del nostro protagonistaovvero i fienili e le casette che costituiscono la fattoria (che potremmo definire citando Orwell “degli animali”) McKenzie.
C’è Mosè, cane da guardia grande,grosso ebonariofinchè qualcuno (Alberto) non gli fa girare i “santissimi”. C’è Marta la gallina svampita e casalinga fidanzata di Alberto,da sempre alla ricerca del metodo per incastrare il suo sfuggente lupastro nella rete del matrimonio.
Accanto a questo terzetto di base ruotano via via personaggi, dapprima di contorno e poi col passare degli anni e delle strisce sempre più definiti: Alcide il maiale, il più colto e sensibile della fattoria,il papero Glicerina (tonto ma simpaticonipote di uno “papero come lui” che lavora nei cartoni animati in America). Alfredo il tacchino eclettico che sparisce sempre dalla fattoria durante le feste di Natale, quando teme di partecipare al cenone in veste di portata. Alice, la gallina chiatta e inquartata migliore amica di Marta, sempre alla prese con problemi d'amore e di linea. Alice è una femminista della prima ora, sempre critica verso gli uomini... forse perché non riesce ad averne uno per sé e forse perché riesce ad imbastire improbabili fidanzamenti “lampo” con personaggio diametralmente opposti a lei. Alice ha la particolarità di andare in "fregola sessuale" ogni primavera e per questo insidia oscenamente tutti i maschi (Odoardo, Mosè, Alberto, Enrico, Il Dottore, etc.) che le capitano a tiro senza mai riuscire a "concludere". Ludovico il cavallo, sogna di vincere il derby di trotto. Krug il toro, irascibile e violento, non parla grugnisce. È l'unico che, data la sua stazza, non riceve punizioni o rimproveri da parte di Mosè, che lo teme. Omar il gallo, paradossalmente attanagliato da terribili sensi di colpa perché col suo "chicchiricchi" mattutino, sveglia gli abitanti della fattoria (vita dura quella del gallo…) .
Un paragrafo a parte invece è da dedicare adEnrico La Talpa, nato come personaggio di contono e via via devenuto comprimario di moltissime strisce e gag con Lupo Alberto. Enrico è l’esatto opposto di Alberto: un individuo meschino, avido, pervertito, che gira attorno alla giovane passera Silvietta, una passera scopaiola ignorando la moglie Cesira (definibile come una tipicapettegola e popolana “desperate housewife” all’italiana).
Enrico, talpa di nome e di fatto, data la vista precaria fin dalle primissime strisce ha scambiato Alberto per il suo amico Beppe (memorabile il saluto “Ehilà Beppe !!” rivolto costantemente e ostinatamente ad Alberto), è sempre pieno di idee per raggirare gli ingenui abitanti della fattoria per spillare qualche guadagno, soprattutto in veste di "astrologo-cartomante". La figura di Enrico ha assunto negli anni una dimensione indepiendente, riuscendo così a dare vita a storie da protagonista; Enrico in coppia con moglie Cesira inscena spesso quadretti casalinghi sulla falsariga di Casa Vianello.
Enrico è la rappresentazione dell'uomo medio di mezza età: impiegato, prossimo alla pensione ma ancora con ridicole velleità da "giovanotto": la voglia della "scappatella", gli amici al biliardo, l'odio (ricambiato) per la suocera, le frustrazioni dell'ufficio, il desiderio di una carriera ormai impossibile.
Enrico spesso travolge il malcapitato Alberto in assurde macchinazioni che si concludono quasi immancabilmente in disastri. Spesso riversa su Alberto le proprie frustrazioni, agevolandolo o addirittura convincendolo a fare delle cose che lui non può più fare, a causa dell'età o della moglie.
Ed infine Silvietta, La Passera Scopaiola (ogni doppio senso è ovviamente voluto dal buon Silver). Rappresenta una adolescente studiosa modello, vittima delle avances sentimental-sessuali di quel “maiale” di Enrico, che viene puntualmente stroncato con salaci commenti.
Le strisce di Lupo Alberto non sono solo materiale per giovani: nelle storie e negli atteggiamenti dei personaggi ricorrono frequentemente tematiche sociale e spesso è riscontrabile una satira politica evidente. Emblematica è la contrapposizione tra Alberto ed Enrico. Il primo rappresenta il classico giovane idealista, un po' anarchico e ribelle, mentre il secondo è lo stereotipo del politico che promette grandi cose, avido di potere e denaro, decisamente contro ogni tendenza giovanile.
Precario e disoccupato, ingenuo e sognatore, disilluso e incapace di impegnarsi per la vita, Alberto è la perfetta rappresentazione un ragazzo trent’enne di oggi e nelle sue storie facilmente i suoi coetanei (come il sottoscritto…) si ritrovano e si riscoprono.
Enrico la Talpa viceversa è una macchietta dell’omuncolo di mezza età: impiegato scazzato, represso nelle voglie; rozzo e profittatore che non si fa troppi scrupoli nel prendersi gioco del prossimo.
Non ritengo del tutto fuori luogo l’interpretazione recente secondo la quale Enrico la Talpa viene rappresentato con atteggiamenti, modi di dire, e addirittura sembianze fisiche tipici di Silvio Berlusconi.
In una delle sue tante vicende, Enrico fonda un movimento, volto a raddrizzare i decadenti costumi della società italiana degli anni '70. Il nome del movimento e': "Bravi Ragazzi", BR. Il simbolo scelto ad identificare il movimento dei "BR" è una stella rossa a 5 punte. Enrico e Alberto si recano in città a presentare il loro movimento ma vengono accolti da gente terrorizzata che scappando, gli lancia portafogli ed altri oggetti di valore pur di avere salva la vita. Evidentissimo il riferimento alle "vere" BR, cioè le Brigate Rosse.
Guido "Silver" Silvestri
Lupo Alberto di Silver (caso emblematico di identificazione di un disegnatore nel proprio personaggio) è per questi motivi e per tanti altri il caso di un fumetto tipicamente “italiano” : ovvero un racconto dei vizi e delle virtù tipiche del nostro paese.Nonostante non venga mai dato un contesto geografico alla contea dove sono ambientate le storie del Lupo, è evidente che il piccolo mondo della Fattoria non è nient’altro che lo specchio della nostra società e dell’Italia in generale.
La fattoria dei Mackenzie è una fattoria di animali in cui l'uomo non si vede mai come nei Peanuts non si vedono mai gli adulti. A differenza dei bambini di Charles Schultz, in questo caso sono animali di Silver che si sobbarcano la responsabilità di rappresentarci, di mettere a nudo pregi e meschinità umane.
Le avventure del Lupo Alberto contengono un po’ di tutto come nella vita reale: sentimenti, politica, critica sociale e di costume, problemi sociali e personali, diritti civili. Il tutto trattato con uno stile irresistibilmente comico, satirico e irriverente.
Così ,di storia in storia, Lupo Alberto è cresciuto acquisendo autorevolezza (come non ricordare il suo faccione in mille campagne sociali di lotta all’AIDS) e unanime simpatia tra i ragazzi della sua età e tra le generazioni più giovani: per i primi il “lupastro” non è altro che un coetaneo in cui rispecchiarsi, per gli altri il tipico fratello maggiore “già scafato” che insegna attraverso le sue esperienze di vita.
Un'immagine ricorrente: Mafalda che scruta e parla col mappamondo, una metafora della critica verso la socita' contenuta nei fumetti di Quino.
Sono passati quasi quarant’ anni dal 1969, anno in cui venne pubblicato per la prima volta in Italia un volume dedicato a Mafalda, la bambina contestataria nata dalla matita di Quino (al secolo Joaquin Salvador Lavado ) geniale disegnatore di fumetti argentino.
Negli anni dei Beatles, del conflitto in Vietnam,della guerra fredda tra gli opposti schieramenti, della contestazione giovanile e culturale, Mafalda riflette e si arrabbia contro le storture del mondo e pone imbarazzanti domande ai genitori. Mafalda è una bambina che pensa e dice quello che pensa, che rivolge quesiti a cui gli adulti che la circondano sistematicamente non danno una risposta, che vive in una famiglia medio borghese intrecciando continuamente il microcosmo costituito da casa, scuola e parco giochicon gli scenari e le notizie internazionali. Attraverso gli occhi disincantati di Mafalda, Quino sottolinea gli errori e le irrazionalità che ormai non riusciamo (o non vogliamo) più a vedere coi i nostri occhi di adulti cresciuti distratti dalle mille difficoltà della vita o omologati nella grigia e meccanica quotidianeita ’ di ogni giorno.
Mafalda rivolge domande a tutti: i suoi genitori sono i più frequenti bersagli, ma il più parte delle volte non riceve risposte, alle sue questioni che spesso sono di tale importanza e complessità da risultare imbarazzanti sulla bocca -e nella mente- di una bambina. Rifugge con forza il qualunquismo culturale, la marmellata di idee della società moderna, e le arroganze dei sistemi economico-politici, si scaglia con forza contro le sterili opposizioni e sconvolge la relazione tra bambino e adulto contestando il rapporto univoco, i “ grandi “ detengono il potere e possiedono le verità, mentre i piccoli sono come dei contenitori assolutamente passivi da riempire. Mafalda, sfuriata dopo sfuriata, rivendica i sacrosanti diritti di ogni bambino di avere una propria visione della vita e del mondo, di avere una propria coscienza, di ricevere informazioni e spiegazioni ragionevoli ai propri dubbi esistenziali.
“La bambina contestataria”, come venne definita a Umberto Eco nella prefazione di quel libro,mette a nudo le debolezze e le incapacita’ degli adulti sino ridicolizzarli; ma la critica non è mai fine a se’ stessa: il messaggio che passa è quello per cui i grandi sonocoloro che pretendono obbedienza ed esercitano varie forme di autorità, ma che nel medesimo tempo vengono sottomessi dalla societa’ ad un giogo che detta regole, doveri e necessità. I grandi non sono da colpevolizzare, ma da comprendere: spesso si sentono inadeguati, vinti e vivono contraddizioni interiori più radicali proprio perche’ irrimediabilmente adulti e per questo motivo hanno bisogno di affetto, di protezione, sono vulnerabili e fragili.
La polemica di Mafalda è sempre costruttiva e finalizzata orientata a mostrare che il conformismo, l’appiattimento culturale non è (e non deve essere) l’unica via possibile: Mafalda possiede, come tutti i bambini e come ogni persona, un altro punto di vista, un altro modo di conoscere e percepire che vuole essere ascoltato e non represso. Un insegnamento drammaticamente utile per tutti noi che troppo spesso ci lasciamo travolgere senza reagire dalla vita di ogni giorno, che contestiamo in modo sterile senza proporre, che attendiamo il divenire dei fatti o dei giorni senza partecipare arroccati come siamo alle nostre piccole e fatue certezze cercando così di celare agli altri, e soprattutto a se stessi, le nostre insicurezze e debolezze.
Questo sarà il primo di alcuni post dedicati a personaggi dei fumetti “alternativi”.
Ringrazio chi tanto tempo fa mi fece scoprire la raccolta “ Dieci anni con Mafalda ” edita da Bompiani (1975) e che ancora oggi conservo gelosamente nella mia libreria…
Come promesso nel post di anticipazione diamo qualche impressione dopo i primi ascolti dell’intero nuovo album del Boss. Parlare di recensione dell’album mi sembrerebbetroppo (dalmomento che chi scrive non ne avrebbe assolutamente le competenze) diciamo che riporterò semplicemente quanto ho avuto modo di osservare e appuntare nell’ ascolto del cd.
Se dovessi riassumere il tutto in un giudizio sintetico direi un buon risultato: Bruce con il sempre valido supporto della E–Street Band producono un suono ricco, denso di spunti ora decisamente rock , ora soul e jangle-pop. Il disco si apre con il singolo che ne ha fatto da traino, “Radio Nowhere”,puramente rock che richiama alla mente vecchi successi e strizza l’occhio ai fan storici, quindi passa ad una ballata brillante, "You’ ll Be Comin’ Down” , sapientemente arricchita dai suoni soul dal sassofono di un Clarence Clemons in grande spolvero. Richiami al passato(e al groove di “Tenth Avenue Freez-Out”)si ritrovano nel terzo brano, “Livin’ in the Future”.
In “You’re Own Worst Enemy”, invece emergono gli arrangiamenti ricchi che caratterizzano un po’ tutto l’album:il suono originale e inatteso (in un album del Boss) di campane e archi celesti conferiscono al brano un suono totalmente innovativo e complessivamente molto piacevole.
Ritroviamo suoni e temi tipicamente vicini a Springsteen in “Gypsy Biker” dove dominano armonica, chitarra acustica e l’immagine del motociclista libero e gitano con la bandana ben legata in testa. Di nuovo sonorità inattese nel pop di “Girls in their Summer Clothes”, ricco di archi e toni quasi sfarzosi.
Segue immediatamente l’inno all’amore di “I’ ll Work for Your Love” non fa che confermare una dei sicuri pregi di “Magic” ovvero la sapiente cura nella produzione delle sonorità capaci di essere via via sempre piùcoinvolgentiattraverso l’uso sapiente dell’organo, delle chitarre a sottolineare i principali passaggi dell’album.
“Magic”, ovvero la canzone che presta il titolo al cd, è il brano più assorto, che racconta in prima persona le capacità di un mago capace di illudere, in modo furbo e smaliziato, il proprio pubblico: in questa immagine molto vedono un non forse troppo velato riferimento allegorico alla politica USA di questi anni.
La chitarra potente di O’Brien si sempre fa sentire orgogliosa nella compattezza dei suoni di basso, batteria e chitarre. Nel western urbano di “Last to Die” e nel classico suono del Boss di “Long Walk Home” . Proprio in quest’ultima il testo lascia immaginare la saggezza di un uomo ribelle adulto e maturo, non per questo rinnegato, un sorta di James Dean come avremmo voluto che fosse da grande ma come non è mai potuto essere.
Chiude“ufficialmente” l’album la commossa e splendida “Devil’s Arcade” quasi l’unico brano del disco dall’ardire “politico” (e non solo sociale), composto nello stile sensibile con cui Springsteen è abituato a parlare e a scrivere i propri testi.
Ho parlato di chiusura “ufficiale” dal momento che quella “effettiva” è data da una ghost track sincera e commossa dedicata all’amico Terry Magovern ( “Terry’s Song” ). La canzone è stata scritta la notte dopo la morte del suo vecchio amico e assistente che, per una vita, lo ha preceduto ovunque in oceanici concerti da stadio e in performance per pochi intimi nei piccoli club.
"L’amore è più forte della morte, come le canzoni e le storie da raccontare" : è uno dei passi più belli di “Terry’s Song”dove è facile immaginare Bruce, forse con gli occhi ancora gonfi dal pianto e il cuore rotto dal dolore della morte, che con estrema lucidità e talento fa confluire nell’ultima e inattesa canzone tutto il significato dell’album stesso.
"Magic" è un disco rock di grande energia ben suonato da Bruce e dalla E-Street Band; denso di suoni e come sempre non privo di contenuti importanti che ne arricchiscono il significato e l’ascolto. Provate ad ascoltarlo. A mio avviso non ne sarete comunque delusi: forse i fan di Springsteen della prima ora potranno, a ragion veduta, obiettare in più punti su questa mia "recensione" , ma è innegabile che questo disco è fatto di musica vera, matura e consapevole, ottimamente suonata e dove, soffermandosi sui testi e contenuti, è possibile riscontrare in più punti il vero spirito del Boss.
Bruce Springsteen e la E Street Band nel 1975.
(nella foto da sinistra: Max Weinberg, Clarence Clemons, Bruce Springsteen, Roy Bittan, Steve Van Zant, Gary Tallent, and Danny Federici. non presenti nella foto: Patti Scialfa, Nils Lofgren)
Oggi la 17° marcia della pace da Perugia ad Assisi.
"Tutti i diritti umani per tutti" lo slogan di quest'anno.
In coincidenza della marcia della pace il blog esprime solidarietà per la protesta pacifica dei monaci e del popolo birmano, per i civili afghani, iracheni, somali e di tutte le vittime di conflitti, noti o dimenticati, e di torture e ingiustizie.
Chiudo questo veloce post con una piccola riflessione in merito dei Peanuts ...
(Modena City Ramblers - Riportando tutto a casa - 1994)
Testo di Stefano Benni _________________________________________________________________
Quaranta notti al gelo sotto un portico deserto ho venduto orologi alle stelle Ashiwa dea della notte vieni a coprirmi d'oro ho braccialetti finti ed un anello per ogni mano ma nessuna moglie.
La quarantunesima notte vennero a cercarmi pestaron gli orologi come conchiglie Ashiwa dea della notte fammi tornare a casa avrò una valigia piena di dolci e di cravatte e rivedrò il mio villaggio.
Così per divertirsi o forse perché risposi male mi spaccarono la testa con un bastone Ashiwa dea della notte lei venne a liberarmi le mie tempie lei baciò ed io guarii e loro no non la videro.
Quaranta notti al gelo sotto un portico deserto ho venduto orologi alle stelle Ashiwa dea della notte vieni a coprirmi d'oro ho braccialetti finti ed un anello per ogni mano ma nessuna moglie.
Non sono morto al freddo delle vostre città ma su una grande pila d'ebano e la mia gente ha cantato e ballato per quaranta notti
Ho scoperto che tra gli occasionali lettori di queste pagine c'è qualche fan dei MCR e quindi pubblico questo testo di Stefano Benni messo in musica dai Modena nell'album "Riportando tutto a casa" del 1994. Qui sotto trovate anche un piccolo podcast della canzone...
Un piccolo pensiero, spero gradito, x Laura & Ele un meraviglioso esempio di simpatia, spontaneità e amicizia... _________________________________________________________________
Sabato 29 settembre 2007 missione Monaco di Baviera. Partenza in pullman da Sesto Calende alle ore 0.45 e arrivo alle ore 7.30 circa nel piazzale dell'Oktoberfest. Il tempo piovigginoso non prometteva nulla di buono e ci aspettevamo una giornata sotto l'acqua. Dopo un vano tentativo di trovare un caffè, necessario per il risveglio dopo la nottata in viaggio, assonnati cominciamo il tour negli stand ancora chiusi della fiera. Ovunque un andirivieni di camion e autobotti (!!!!) per i necessari rifornimenti agli stand per la giornata, di fronte ad ogni tendone già numerosi capannelli di gente che preme per entrare: sono le 7.30 le porte apriranno solo verso le 9.00 Nessun problema per trovare quacuno che ci scatti una foto sotto il portale d'ingresso: ovunque ti giri trovi qualche paisà pronto a socializzare (ma non eravamo in Germania !?!). Dopo una maldestra manovra di accodamento (n.d.r. dall'uscita!) per entrare in uno stand e dopo aver consumato un salatissimo (nel senso letterale del termine) pane Breize (...ma va è zucchero! Fidati!.. ultime parole famose...) assistiamo l'assalto (nel senso di valanga umana) all'ingresso. Qui non si entra più, scegliamo uno stand meno affollato. Siamo attirati da quello col porco rotante come insegna: lo Spaten Festzelt. Dentro è impossibile sedersi, optiamo per i tavolacci esterni. Per fortuna il cielo si sta aprendo, un po' di vento sta spazzando le nuvole e il sole fa capolino. Pronti via e ti arriva un donnone formato armadio che pare essere una cameriera: lei non capisce una mazza di italiano e di inglese, noi una mazza di tedesco... Chiede: "Bier?" ... E sia... sono le 10.30 della mattina... Arrivano i boccali e comincia la festa. Intorno i tedesconi, i giovani bavaresi e un paio di Heidi niente male intonano canzoni tipiche che un gruppo di bergamaschi vicini di tavolo naturlamente conosce a menadito (mezzo italiano, mezzo dialetto e via!). Al nostro tavolone si aggrega un gruppo di di giovani tedeschi tutti i con camicia blu a righe d'ordinanza... Finalmente qualcuno che parla inglese, e si socializza subito. Molto simpatico "Columbus", questo il nome stampato sulla camicia, che ci scatta pure qualche foto. La fame aumenta e alle 11.30 scatta l'operazione "StincodiPorco": ovvero come fare a far capire alla cameriera tedescona che vogliamo lo stinco di porco con patate... Al primo tentativo otteniamo altri boccali di birra (e vabbè...) al secondo con un menù in inglese otteniamo quanto voluto. Non male il porcello, le patate (ovviamente un surrogato) sono un un po' una sola... Sono ormai le 12.00 passate, il sole ha preso a splendere e fa pure caldo. E' tempo di visitare Monaco: sento già qualche voce che commenta... "Ma come???" . Sì , si parte per turismo, mica vogliamo passare tutta la giornata seduti ad un tavolo quando la città offre molto da visitare. Gambe in spalla e via, da TheresenWiese (il piazzale della festa) al centro ce la facciamo tutta a piedi. L'idea non è male perche così possiamo vedere meglio tutto quello che c'è da visitare. La prima è la chiesa di St. Paul appena fuori al macello dell' OktoberFest. Stile gotico e un interno apparentemente un po' "nuovo e vuoto". Dovremo abituarci la città è stata in buona parte riconstruta dopo la seconda guerra. Si riparte verso la piazza KarlStad, dove c'è una originale fontana e il Palazzo del Governo. Da lì parte la zona pedonale e AugustinerStrasse, il corso che porta verso il centro cittadino. Pochi passi e siamo davanti alla chiesa di San Michele (St. Michael Kirke): di aspetto non gotico anche questa merita una visita. Facendoci strada tra la folla arriviamo di fronte al Duomo di Monaco in FrauenPlatz. Facciata a mattoni a vista e due torri campanarie a cupola, nel sagrato il plastico di Monaco e una singolare fontana con i "funghi" (vi rimando alle foto per maggiori dettagli). Entriamo. Sul portone troviamo a terra "l'impronta del Diavolo" ovvero un'impronta che la leggenda dice sia il piede del diavolo... Dentro il solito stile austero, il mausoleo, gli stemmi del cardinale (ora papa) Ratzinger e la cripta. Interessanti i dipinti nelle cappelle lungo le navate. Usciamo e arriviamo in pochi minuti nella piazza del Teatro Nazionale (la "Scala" di Monaco) e della Residenz, una residenza nobiliare dai meravigliosi giardini interni. Una breve sosta al sole sugli scalini del Teatro (un abbiocco di Paolo...) e poi un giro nel primo cortile interno della Residenz. Qualche foto ricordo e via per la strada dei negozi di lusso. Giriamo verso il centro, una sosta davanti alla pù vecchia e prima birreria di Monaco la HofBrauHaus e poi di corsa verso MarienPlatz, la piazza più importante della città. In piazza spicca il municipio gotico, simbolo della città, e la stele con in cima la madonnina dorata. Nella piazza una fiumana di gente va e viene e un'allegra orchestrina bavarese suona per i turisti. Un giro nel cortile interno del municipio a questo punto è d'obbligo. E' quasi tempo di tornare. Si punta diretti di nuovo verso Frauenkirche (il duomo), con l'obiettivo di scalare una delle due torri campanarie e vedere Monaco dall'alto. Dopo 86 gradini, un po' di coda, un ascensore e 3 euro la missione è compiuta. Ma ne valeva la pena il panorama è meraviglioso e 360 °. Grazie alla bella giornata da lontano vediamo pure il villaggio olimpico di Monaco 1972 e l'imponente torre che sovrasta lo stadio dei giochi. Tutto materiale per la macchina digitale. Scendiamo, un paio di soste per i viveri, e ci incamminiamo per il ritorno verso l'Oktoberfest. Arriviamo a ThereseWiese verso le 18.30. Il casino e la folla sono quadruplicati: un salto nella zona delle attrazioni per girare la parte che alla mattina non eravamo riusciti a vedere. Come cavolo faranno 'sti tedeschi dopo una giornata a bere e mangiare a salire su quelle giostre kamikaze senza crepare lo sanno solo loro. Scatta l'operazione "cappellone": ovvero come procurarsi al minor prezzo il cappellone da mago tipico della festa senza essere letteralmente dissanguati... 'Sti crucchi anche loro mica scherzano nel fregare i turisti! Trovato! Sette euro, massì si può fare, non avrà il logo ricamato come gli altri ma almeno il prezzo è accessibile. E' ormai sera tutto si illumina e la folla è impressionante. Ormai non si riesce nemmeno ad avvicinarsi agli stand, meglio un giro sotto la collina di Therese che domina la spianata e qualche foto by night della festa. Ormai ci siamo si torna al bus... qualcuno è in ritardo e viene raccattato dopo mezzora in giro per gli stand. Ore 22.30 circa si parte.. il viaggio di ritorno è iniziato.
Hey Jude don’t make it bad, Take a sad song and make it better, Remeber, to let her into your heart, Then you can start to make it better.
Hey Jude don’t be afraid, You were made to go out and get her, The minute you let her under your skin, Then you begin to make it better.
And anytime you feel the pain, Hey Jude refrain, Don’t carry the world upon your shoulders. For well you know that it’s a fool, Who plays it cool, By making his world a little colder.
Hey Jude don’t let me down, You have found her now go and get her, Remember (Hey Jude) to let her into your heart, Then you can start to make it better.
So let it out and let it in Hey Jude begin, You’re waiting for someone to perform with. And on’t you know that it’s just you. Hey Jude, you’ll do, The movement you need is on your shoulder.
Hey Jude, don’t make it bad, Take a sad song and make it better, Remember to let her under your skin, Then you’ll begin to make it better
Hey Jude, non peggiorare le cose: prendi una canzone triste e rendila migliore. Ricordati di riporla nel tuo cuore e poi comincia a migliorarla.
Hey Jude, non essere dispiaciuto: tu sei fatto per uscire e per stare con lei. Nel momento in cui la lasci penetrare attraverso la tua pelle puoi iniziare a migliorarla.
Ed ogni qualvolta provi dolore Hey Jude, fermati: non portare il peso del mondo sulle tue spalle. Per quanto tu ben sai che è stupido e che c'è chi ne fa motivo d'orgoglio rendendo il proprio mondo un po più distaccato.
Hey Jude, non abbattermi: tu l'hai trovata, ora vai e prendila. Ricordati di riporla nel tuo cuore, e poi comincia a migliorarla.
Quindi, lasciala uscire ed entrare, Hey Jude, incomincia: tu stai aspettando qualcuno con cui esibirti. E non sai che sei proprio tu, Hey Jude, tu lo farai: la spinta di cui hai bisogno è sulle tue spalle.
Hey Jude, non peggiorare le cose: prendi una canzone triste e rendila migliore. Ricordati di lasciarla nel tuo cuore e poi comincia a migliorarla.
In questo post voglio proporre un tema un po' strano che ritengo possa incuriosire chi di noi bazzica quotidinamente, per lavoro o per diletto, il mondo dei computer e si imbatte nelle mille traversie di questa realtà. Penso sia interessante sapere da dove un po' tutto è nato e "come eravamo" qualche decennio fa; in fondo, nonostante le mille critiche sollevabili, se adesso esiste internet come noi la conosciamo, se l'informatica è divenuta più accessibile (e se, alla fine dei conti, anche questo blog esiste! ) non po' lo dobbiamo anche ai pionieri della prima ora come le persone che andremo a descrivere.
Fate una ricerca su Google con le parole chiave “microsoft 1978”e cliccate su uno qualsiasi dei primi risultati proposti; in tutti i casi potrete ammirare la seguente e, sinceramente un po’ inquietante, foto di gruppo…
7 dicembre 1978 - il primo gruppo di Microsoft
Chi sono questi loschi figuri? Forse un gruppo di feroci terroristi brigatisti direttamente usciti da un libro fotografico degli anni 70? Un manipolo di freak ? Ovviamente no, anche se l’aspetto è potrebbe trarre in inganno.E’ stata scattata il 7 dicembre 1978in qualche scantinato del New Mexico (USA) e questa “allegra” comitiva o piccola collezione di mostri(dipende dai punti di vista) non è altro che il primissimo nucleo di collaboratori della Microsoft,quando i successi e le vagonate di soldi di Windows erano ancora ben lungi da venire.
Nella foto sono presenti i due fondatori della società; quello più noto- Bill Gates, il primo in basso a sinistra – e quello “più sfigato”–Paul Allen, l’ultimo in basso destra-che poi uscì dalla compagnia nel 1983;degno di nota per entrambi l’aspetto:il primo tipicamente da nerd di college americano, il secondo un fricchettone anni ’70.Lo stesso Bill Gates conferma l’autenticità della foto riportandone una copia nella sua pagina biografica all’interno del sito web di Microsoft :
Ma "zio Bill" a parte che fine hanno fatto i restanti personaggi immortalati in questo ritratto? Eccone un veloce resoconto (anche economici .. - dati del 2005)
Fila in alto
Steve Wood
Programmatore. Lasciò Microsoft nel 1980. Adesso gestisce una società di telecomunicazioni. Patrimonio presunto 15 milioni di dollari .
Bob Wallace
Primo product manager e designer di Microsoft. Lasciò la compagnia nel 1983. A causa della dipendenza da droghe e psicofarmaci morì nel 2002 con un patrimonio di 5 milioni di dollari.
Jim Lane
Project manager. Lasciò Microsoft nel1985. Ora gestisce una propria software house. 20 milioni di dollari.
Fila centrale
Bob O'Rear
Matematico. Lasciò Microsoft nel 1993.Gestisce un ranch e un allevamento. 100 milioni di dollari.
Bob Greenberg
Programmatore. Lasciò Microsoftnel 1981.Adesso sviluppa software per corsi di golf. 20 milioni.
Marc McDonald
Programmatore. Primo dipendente Microsoft, lasciò la società nel1984 rientrandone poi dalla porta di servizio quando MS acquisì la Design Intelligence, la compagnia per cui lavorava. Ha ancora il privilegio di sfoggiare il badge numero 00001. 1 milione di dollari.
Gordon Letwin
Programmatore.Lasciò Microsoft nel 1993. Adesso è un ambientalista. 20 milioni di dollari
Fila in basso
Bill Gates
Uno dei due fondatori . E’ il chairman di Microsoft anche se ha lasciato l’attività day by day nel 2003 dedicandosi maggiormente alle attività filantropiche delle sue fondazioni. A lungo la persona più ricca al mondo accreditata di 50 miliardi di dollari
Andrea Lewis
Scrittore. Lasciò Microsoft nel 1983. Adesso è giornalista free-lance. 2 milioni di dollari.
Marla Wood
Contabile. Moglie diSteve Wood. Lasciò Microsoft nel 1980, adesso svolge attività di volontariato. 15 milioni.
Paul Allen
L’altro fondatore, quello meno noto. Lasciò Microsoft nel 1983 rimanendone comunque consigliere strategico. Adesso gestisce team sportivi e svolge attività filantropiche. 21 miliardi di dollari.
Una storia singolare vero? In uno dei prossimi post racconteremo la cronistoria della nascita (1975) ai giorni nostri di Microsoft; ammettiamolo tutti, e parlo di chi come me lavora nel campo dell' Information Technology, nonostante le numerose critiche e invettive che quotidianamente lanciamo verso lo "Zio Bill" e alle paturnie dei suo prodotti, in fondo se oggi abbiamo un lavoro abbastanza consolidato lo dobbiamo anche alle persone di immortalate in quella foto...
I was walking around, just a face in the crowd Trying to keep myself out of the rain Saw a vagabond king wear a styrofoam crown Wondered if I might end up the same Theres a man out on the corner Singing old songs about change Everybody got their cross to bare, these days
She came looking for some shelter with a suitcase full of dreams To a motel room on the boulevard Guess shes trying to be james dean Shes seen all the disciples and all the wanna bes No one wants to be themselves these days Still theres nothing to hold on to but these days
These days - the stars seem out of reach These days - there aint a ladder on these streets These days - are fast, love dont last in this graceless age There aint nobody left but us these days
Jimmy shoes busted both his legs, trying to learn to fly From a second story window, he just jumped and closed his eyes His momma said he was crazy - he said momma Ive got to try Dont you know that all my heroes died And I guess Id rather die than fade away
These days - the stars seem out of reach But these days - there aint a ladder on these streets These days are fast, love dont lasts-in this graceless age Even innocence has caught the morning train And there aint nobody left but us these days
I know romes still burning Though the times have changed This world keepd turning round and round and round and round These days
These days - the stars seem out of reach But these days - there aint a ladder on these streets These days are fast, love dont lasts-in this graceless age Even innocence has caught the morning train And there aint nobody left but us these days
These days - the stars seem out of reach These days - there aint a ladder on these streets These days - are fast, nothing lasts There aint no time to waste There aint nobody left to take the blame There aint nobody left but us these days
Stavo camminando in giro, un semplice volto nella folla Cercando di proteggermi dalla pioggia Ho visto un re vagabondo indossare una corona di cartapesta mi son chiesto se sarei finito come lui C'é un uomo all'angolo, canta vecchie canzoni sul cambiamento Ognuno ha la propria croce da portare, in questi giorni
Lei viene con una borsa piena di sogni cercando un riparo in una camera d'albergo sul viale Sembra stia cercando di essere James Dean Lei sta guardando tutti I discepoli e tutto quello che vorrebbe essere Nessuno vuole essere se stesso in questi giorni Qui non c'é nulla a cui valga la pena aggrapparsi, se non questi giorni
In questi giorni le stelle sembrano lontane In questi giorni non ci sono scale su queste strade Questi giorni sono veloci, l'amore non dura in questi giorni disgraziati Non esce nessuno, solo noi in questi giorni
Jimmy Shoes si è spezzato le gambre cercando di imparare a volare Dal secondo piano è saltato e ha chiuso gli occhi Sua mamma diceva che era pazzo, lui disse mamma "devo tentare" Non sai che tutti I miei eroi sono morti e io penso che preferirei morire piuttosto che svanire
In questi giorni le stelle sembrano lontane ma in qustei giorni non ci sono scale in queste strada Questi giorni sono veloci, non ci basta mai nulla in questa tenera età Anche l'innocenza ha preso il treno di mezzanotte non esce nessuno, solo noi in questi giorni
Lo so Roma brucia ancora Nel tempo sono cambiato Questo mondo continua a girare e gira e gire e gira Questi giorni
In questi giorni le stelle sembrano lontane ma in questi giorni non ci sono scale in queste strada In questi giorni sono veloci, non ci basta mai nulla in questa tenera età Anche l'innocenza ha preso il treno di mezzanotte non esce nessuno, solo noi in questi giorni
In questi giorni le stelle sembrano lontane ma in questi giorni non ci sono scale in queste strada Questi giorni sono veloci, non ci basta mai nulla in questa tenera età Non c'é tempo perso Non c'é nessuno che esce a prendersi la colpa Non esce nessuno, solo noi in questi giorni non esce nessuno, solo noi in questi giorni
Testo originale e traduzione di "These Days" (Jon Bon Jovi) quarta traccia dell'album omonimo - Mercury Records, 1995
Vi anticipo che questo sarà il primo post di altri che verranno, dedicati ai testi e alle musica di Bon Jovi, vere e proprie "colonne sonore" di tanti periodi della mia vita. Trascinanti ballate, scatenati e frenetici pezzi hard rock che ancora oggi a distanza di tanto tempo suonano spesso e volentieri nel mio stereo suscitando ancora sincere emozioni. Quale migliore accompagnamento per i lunghi tragitti in auto (e spesso in coda... ) di tutti i giorni!