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 Un gabbiano a pelo d'acqua sul Ticino... di DL4U
 
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A volte la notte me ne sto sveglio nel letto e mi chiedo: "Dove ho sbagliato?", poi una voce mi dice "Ti ci vorrà più di una notte per questo".

Charlie Brown
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Te sta' dentro che qua fuori è un brutto mondo...
Di DL4U (del 06/04/2008 @ 02:31:21, in Cinema, linkato 1302 volte)



Questa settimana finalmente ci sono riuscito; era diverso tempo che volevo procurarmelo per poterlo vedere: lasciatemelo dire ne è valsa la pena. Questa volta vi propongo il mio punto di vista su “Radiofreccia”, opera prima del 1998 di Luciano Ligabue nei panni di regista e sceneggiatore cinematografico.

Ispirato alla raccolta di racconti “Fuori e dentro dal borgo” dello stesso cantautore il film fu un inaspettato successo al botteghino e fu premiato con ben tre David di Donatello, due Nastri d’Argento e tre Ciak d’Oro. Motivo di tanto consenso? La risposta l’ho trovata facilmente nella trama, nelle dinamiche, nei personaggi e nelle vicende raccontate nella pellicola: sono le storie irrequiete, disperate, goliardiche e drammatiche al tempo stesso della provincia emiliana e di un gruppo di giovani, tra i diciotto e i venti anni, nell’Italia degli anni settanta. A far da volano alla trama del film la rivoluzione delle radio libere, della “pirateria” sulle onde FM, un fenomeno che in quegli anni (la storia prende le mosse nel 1975) scatena nell’Italia del monopolio e delle bombe la fantasia scanzonata, la voglia repressa ed irrinunciabile di comunicare idee, l’istinto di cambiamento e rottura di un’intera generazione di giovani già in fermento. Basta un trasmettitore da poche lire, un paio di giradischi, un mixerino, un microfono e una buona collezione di vinili e una radio è fatta: l’etere è lì, a disposizione di chiunque abbia voglia di dire qualcosa di diverso, di fa sentire al propria voce e il proprio pensiero. Anche a distanza di chilometri. Le porte si aprono, le distanze si annullano, la profonda e più isolata provincia dell’Italia può essere per un attimo al centro del mondo. E’ una rivoluzione culturale (seguita forse solo da internet tanti anni dopo) che per la prima volta “spara” nella modulazione di frequenza le note di David Bowie, degli Stones, dei Pink Floyd, le discussioni sui veri problemi dei giovani e della società in generale. Ecco in questo contesto, nell’italica Bassa Padana (che in tutto e per tutto è tagliata su Correggio, paese natale di Ligabue) cinque ragazzi si inventano una radio dopo averne avuta l’idea sentendone il suono di un’altra (FM pirata) nel bar di Adolfo (Francesco Guccini) , loro unico punto di aggregazione in un paese altrimenti morto e monotono. Nasce con tanto impegno, pochi soldi e molta passione “Radio Raptus” , ribattezzata poi, diciotto anni dopo la sua nascita “RadioFreccia. Benassi Ivan (riportiamo rigorosamente il cognome prima del nome come usa nella “bassa” reggiana - ruolo interpretato da uno Stefano Accorsi in piena forma) detto “Freccia” per una strana voglia che ha sulla tempia è il leader del gruppo formato da Iena (Alessio Modica), Boris (Roberto Zibetti), Tito (Enrico Salimbeni) e Bruno (Luciano Federico). Il narratore della storia, ripercorsa in un lungo flashback che parte dal giorno della morte di Freccia nonché ultimo di trasmissione della radio dopo diciotto anni, è Bruno: lui che ha fortissimamente voluto e creato Radiofreccia, coinvolgendo poi tutti gli altri, ricorda i fatti di questi quasi diciotto anni, interrompendo il racconto il 24 aprile 1993, un minuto prima del diciottesimo compleanno della radio: l’anno in cui sarebbe diventata adulta. Il racconto ruota intorno a Freccia un ragazzo dalla famiglia inesistente (padre morto e madre zoccola) ma bello, coraggioso, leale, simpatico; a cambiare i rapporti di Freccia con gli amici di sempre, con il mondo arriva con l’eroina offerta una sera da una ragazza; con la droga e i “buchi” arrivano l'isolamento, e la difficile china da risalire per uscire dal fosso della dipendenza. La forza di Freccia si manifesta nella voglia di uscirne, d'innamorarsi ancora (purtroppo della ragazza sbagliata) e nella capacità di confessare e raccontare tutta la propria vicenda davanti ad un microfono a monito per tutti i giovani come lui. Accanto al protagonista si intrecciano le storie di Tito che tenta di uccidere il padre che abusa della sorella, di Iena che sposa una donna che lo tradirà con Boris il giorno stesso delle nozze, durante il pranzo. Solo Bruno, più posato e razionale, avrà sorte migliore e una vita normale con la fidanzata Ilaria. Proprio Bruno dopo la morte di Freccia, chiuderà le trasmissioni di “Radio Raptus” ormai divenuta "Radiofreccia", esattamente un minuto prima che compia diciotto anni.

Ligabue dirige il film con schiettezza e sincerità (d’altra parte racconta e filma storie autobiografiche e luoghi da lui direttamente vissuti) rappresentando in modo a volte crudo, a volte ironico ma sempre efficace e diretto la realtà dell’Italia, della società e dei giovani di quegli anni. A supporto del racconto una scelta musicale notevole per la colonna sonora ( Can't Help Falling in Love di Elvis Presley - suonata dalla banda del borgo - , Sweet Home Alabama dei Lynyrd Skynyrd, Run Through the Jungle dei Creedence Clearwater Revival, Love is the Drug dei Roxy Music, Rebel Rebel di David Bowie, Don't Stop dei Fleetwood Mac, My Sharona dei Knack e altri..).

Tra le sequenze del film una su tutte rimane fissa nella memoria: il monologo notturno di Freccia alla radio. Il “Credo” laico recitato da Ivan Benassi è un discorso, semplice ma immediato, quasi una piccola filosofia, in cui ciascuno di noi ci si può ritrovare, anche a trent’anni e più di distanza…

« Buonanotte. Quì è Radio Raptus, e io sono Benassi - Ivan. Forse lì c'è qualcuno che non dorme. Beh, comunque che ci siete oppure no io c'ho una cosa da dire. Oggi ho avuto una discussione con un mio amico. Lui è uno di quelli bravi: bravi a credere in quello cui gli dicono di credere. Lui dice che se uno non crede in certe cose non crede in niente. Beh, non è vero: anch' io credo. Credo nelle rovesciate di Bonimba e nei riff di Keith Richards; credo al doppio suono di campanello del padrone di casa che vuole l'affitto ogni primo del mese; credo che ognuno di noi si meriterebbe di avere una madre e un padre che siano decenti con lui almeno finché non si sta in piedi; credo che un Inter come quella di Corso, Mazzola e Suarez non ci sarà mai più, ma non è detto che non ce ne saranno altre belle in maniera diversa; credo che non sia tutto qua, però prima di credere in qualcos'altro bisogna fare i conti con quello che c'è qua, e allora mi sa che crederò primo o poi in qualche Dio; credo che semmai avrò una famiglia sarà dura tirare avanti con 300.000£ al mese, però credo anche che se non leccherò culi come fa il mio caporeparto difficilmente cambieranno le cose; credo che c'ho un buco grosso dentro ma anche che il Rock 'n' roll, qualche amichetta, il calcio, qualche soddisfazione sul lavoro e le stronzate con gli amici, beh, ogni tanto questo buco me lo riempiono; credo che la voglia di scappare da un paese con 20.000 abitanti vuol dire che hai voglia di scappare da te stesso, e credo che da te non ci scappi neanche se sei Eddy Merckx; credo che non è giusto giudicare la vita degli altri, perché comunque non puoi sapere proprio un cazzo della vita degli altri. Credo che per credere, certi momenti, ti serve molta energia. Ecco, vedete un po' di ricaricare le vostre scorte con questo. »

(Discorso di Freccia su Radio Raptus, prima di mandare in onda "Rebel Rebel" di David Bowie)


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