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 L'imbarcadero sul lago ... (Angera)... di DL4U
 
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Siamo solo noi... Generazione di sconvolti che non ha più Santi né Eroi... Siamo solo noi...

Vasco Rossi - "Siamo solo noi" 1981
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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di DL4U (del 23/04/2007 @ 12:17:38, in Impegno sociale, linkato 1468 volte)
A distanza di più di trent'anni, era il 10 luglio del 1976 quando quella maledetta valvola cedette, una lettura per ricostruire un evento che ha segnato la per sempre le vite delle persone che l'hanno vissuta, marchiato il territorio che l'ha subita.

Nel libro-inchiesta del giornalista Daniele Biachessi, edito da Baldini e Castoldi, la ricostruzione minuziosa delle vicende di quei giorni, la disperazione della gente, le arroganze e i sotterfugi delle multinazionali, la collusione e l'incompetenza delle pubbliche istituzioni.

copertina

Il libro, non è facilmente reperibile nelle librerie, è comunque acquistabile on line direttamente dall'editore:

http://www.bcdeditore.it/Catalogo/Scheda_libro.aspx?id=1476

Da questo testo è stato estratto uno spettacolo di teatro sociale del titolo omonimo e interpretato dallo stesso Biachessi. Al link di seguito è possibile reperire i file audio e video dello spettacolo:

http://www.retedigreen.com/sevesoreading.htm

Dalla prefazione del libro:

Ci sono catastrofi che non fanno rumore, non spargono sangue, non spezzano vetri né innalzano macerie. La catastrofe di Seveso è una di queste, analoga alle altre prodottesi a Bhopal, a Chernobyl, in tutti gli altri luoghi dove si sono commessi crimini contro l’ambiente. «Nessuno poteva immaginare, se non i diretti responsabili, che quel fumo denso, acre, silenzioso avrebbe contenuto morte. Una nube biancastra premeva forte verso l’alto accompagnata da un sibilo violento, assordante che rompeva quel silenzio d’estate. Si disse che veniva da una piccola fabbrichetta chimica…» Era il 19 luglio 1976: un incidente nel ciclo di produzione dell’Icmesa, una fabbrica chimica del gruppo svizzero Hoffmann La Roche, causava la diffusione su una vasta area del più terribile dei veleni: la diossina. Inizialmente la direzione della fabbrica negava perfino la fuoriuscita di sostanze tossiche, ridicolizzando gli allarmi lanciati dai lavoratori e le apprensioni della popolazione. Ma contemporaneamente presso l’impianto dell’Icmesa giungevano, segretamente, per procedere a misteriosi sopralluoghi, alcuni ufficiali americani. Erano esperti in guerra chimica batteriologica? E perché altri militari, appartenenti ai servizi segreti di mezza Europa, si attivarono sul luogo dell’incidente? Perché questa mobilitazione se all’Icmesa si fabbricavano, secondo le versioni ufficiali, solo prodotti di base per l’industria dei cosmetici? Si iniziò a parlare di diossina e il disastro ambientale si profilò in tutta la sua drammatica portata. La verità – negata dal gruppo industriale svizzero, mimetizzata dalle autorità, trascurata da buona parte dei media – ha impiegato anni ad affiorare e, finalmente, viene delineata in tutta la sua raggelante portata da questo libro-inchiesta, caparbio e appassionato, scritto da Daniele Biacchessi. Dall’impianto dell’Icmesa era fuoriuscito il Tcdd, tetraclorodibenzop-diossina, probabilmente usato per produzioni militari. E la quantità sparsa nell’aria non era di poche centinaia di grammi ma andava valutata su quantità che si aggiravano tra i 15 e i 18 chili. Ben 7 chili di questa micidiale sostanza di morte, mescolati ai residui stoccati nei locali dell’Icmesa, risultano poi trasportati – nei primi anni Ottanta – nella ex Rdt, dopo un percorso depistante e segreto, sotto la supervisione di uomini dell’Intelligence e di emissari della multinazionale svizzera: un carico di morte che, come già nel 1976, ha minacciato la salute di milioni di persone. Il volume ricostruisce minuziosamente la storia e i retroscena del più grande disastro ambientale italiano, portando alla luce le complicità, le omertà, l’arroganza che hanno protetto per troppo tempo i padroni della «fabbrica dei profumi». Negando quella giustizia che le vittime dell’Icmesa hanno chiesto, invano, per anni.
 
Di DL4U (del 08/09/2007 @ 18:44:02, in Impegno sociale, linkato 861 volte)

8 Settembre 2007, V-DAY

Anche il blog di DL4U aderisce all'iniziativa di impegno popolare organizzata da Beppe Grillo per
un parlamento "pulito" e finalmente al servizio del cittadino.

NO AI PARLAMENTARI CONDANNATI
(fuori dal parlamento i 25 politici condannati in via definitiva)

DUE LEGISLATURE
(nessun cittadino italiano può essere eletto al parlamento per più di due legislature)

ELEZIONE DIRETTA
(i candidati al parlamento direttamente eletti dal cittadino con preferenza diretta)


Alberto (iscritto numero 1413 alla "marcia del V-DAY")

Tutte le infos sul link seguente e su www.beppegrillo.it



Iscriviti al Vaffanculo Day
 
Di DL4U (del 07/10/2007 @ 16:07:54, in Impegno sociale, linkato 1038 volte)

Oggi la 17° marcia della pace da Perugia ad Assisi.

 "Tutti i diritti umani per tutti"  lo slogan di quest'anno.

In coincidenza della marcia della pace il blog esprime solidarietà per la protesta pacifica dei monaci e del popolo birmano, per i civili afghani, iracheni, somali e di tutte le vittime di conflitti, noti o dimenticati, e di torture e  ingiustizie. 

Chiudo questo veloce post  con  una piccola riflessione in merito dei Peanuts ...

 
Di DL4U (del 19/12/2007 @ 19:25:57, in Impegno sociale, linkato 821 volte)



NEW YORK, 18 dicembre 2007


Pena di morte, l'Onu dice sì alla moratoria.

La Terza commissione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato ieri sera ad ampia maggioranza la risoluzione che chiede una moratoria internazionale sulla pena di morte. Il voto è stato di 99 Paesi a favore, 52 contrari e 33 astenuti. Le probabilità di passaggio erano aumentate con la bocciatura di tutti gli emendamenti posti sul suo cammino. La decisione apre adesso la strada a una presa di posizione dell'intera Assemblea generale entro fine anno.
«È una vittoria di tutta l'Italia - ha commentato il ministro degli Esteri, Massimo D'Alema - l'Italia conferma di essere in prima linea nel mondo in materia di tutela dei diritti umani». Sulla stessa lunghezza d'onda l'ambasciatore italiano al Palazzo di Vetro, Marcello Spatafora, che subito dopo il voto ha dichiarato: «Quella vinta oggi è una battaglia di cui tutti dovremmo essere orgogliosi». L'Italia ha svolto infatti un ruolo di primo piano nella campagna e nei negoziati per far avanzare la risoluzione, divenuta una priorità di politica estera.
Il testo, dopo due giorni di teso dibattito, è rimasto invariato con ben 14 emendamenti, spesso presentati con l'intento di far deragliare la risoluzione, tutti respinti. La commissione aveva aperto i lavori mercoledì, per proseguirli giovedì mattina: gli emendamenti sono stati bocciati in media con 80 voti contro 70, una ventina di astensioni e altrettanti non partecipanti alle deliberazioni. Le dichiarazioni di voto sulla risoluzione sono cominciate verso le tre di pomeriggio ora di New York, dopo che anche un ultimo tentativo degli oppositori di far votare la risoluzione punto per punto era fallito. L'approvazione richiedeva soltanto una maggioranza semplice dei Paesi votanti.
La decisione della Terza commissione rappresenta un passo molto importante ma ancora non definitivo per la risoluzione. L'appuntamento, infatti, è ora con l'Assemblea generale, probabilmente a metà dicembre, per un voto sulla moratoria: se varata dai 192 Paesi la risoluzione acquisterà un immmediato valore morale, anche se non sarà vincolante. Negli anni Novanta due proposte di risoluzione, che tuttavia chiedevano l'immediata abolizione della pena di morte anziché una moratoria, si erano arenate.
Il voto in commissione è giunto al termine di una saga già rivelatasi lunga e difficile: la moratoria era rimasta ostaggio di richieste di porre l'accento sull'eliminazione della pena capitale e di controproposte per ammorbidire il testo. La risoluzione alla fine presentata e ieri approvata invoca una moratoria in vista di una futura eliminazione.
Il testo sottolinea che la pena capitale «danneggia la dignità umana», che «non esistono prove conclusive del suo valore deterrente» e che «qualunque errore giudiziario nella sua applicazione è irreversibile e irreparabile». Inizialmente 72 Paesi, fra cui l'Italia e tutte le nazioni dell'Unione Europea, avevano sottoscritto il testo, un elenco in seguito allungatosi a 87 firmatari. I sostenitori comprendono ad oggi una dozzina di capitali latinoamericane e otto Paesi africani, dal Brasile all'Angola.
Le più strenue obiezioni sono arrivate da Paesi mediorientali, asiatici e caraibici. Tra i critici più convinti della risoluzione si è distinto Singapore, ma resistenze sono emerse anche da Botswana, Barbados, Iran, Egitto e anche Cina. Iran, Cina, Stati Uniti, Pakistan e Sudan vantano oggi il 90% delle esecuzioni al mondo.
Alcune delle obiezioni, sintomo delle polemiche che dividono l'Onu sulla pena di morte, hanno anche sollevato lo spettro del colonialismo e dell'interferenza negli affari interni di singole nazioni. «Abbiamo visto - ha detto il rappresentante di Singapore Kevin Cheok - simili episodi in passato. C'era un tempo in cui le nostre vedute venivano ignorate». Cheok ha dichiarato che il dibattito sulla pena di morte minaccia di «avvelenare» il clima alle Nazioni Unite. L'ambasciatore italiano Marcello Spatafora ha respinto simili accuse e ha risposto che l'iniziativa per la moratoria è internazionale

(articolo di M.Valsania - tratto da il "www.ilsole24ore.com" )

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Per una volta forse c'è da essere orgogliosi di essere italiani...

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Lo ricordo ancora come una delle letture più interessanti che mi proposero ai tempi del liceo: tra le tante opere di cui l’Italia deve andare fiera spicca Dei delitti e delle pene (1764), di Cesare Beccaria. L’autore, testimone esemplare dell'Illiminismo italiano. nasce a Milano nel 1738 e dal 1760 si interessa di filosofia, grazie allo studio delle idee di Montesquieu e di Rousseau. Quattro anni più tardi, scrive e pubblica Dei delitti e delle pene.

L’opera è un trattatello nel quale l’autore esprime idee di stampo indubbiamente illuminista; i destinatari, a cui spesso si rivolge in modo diretto, sono i sovrani illuministi, chiamati anche «benefattori dell’umanità», sta a loro, infatti, il compito di assicurare al popolo un governo più giusto. L’autore viene oggi poco ricordato, eppure è a lui che dobbiamo molti dei principi civili a cui siamo abituati.

Il libro stupisce per la sua modernità. Beccaria esamina con estrema lucidità un certo numero di reati e le loro rispettive pene. Partendo dal contratto sociale, prosegue parlando dell’origine e dello scopo delle pene, le quali non sono una punizione, bensì un allontanamento dalla società a scopo rieducativo. Egli affronta temi attualissimi come l’interpretazione arbitraria delle leggi, la pena di morte, e la prontezza della pena. Il principio base di una legge è la chiarezza. La legge non deve aver bisogno di interpreti che la rigirino a proprio favore; la pena di morte è ingiusta in quanto immorale e antieducativa — non si può insegnare a un popolo a ripudiare l’omicidio, se lo Stato stesso ne fa uso —; la pena deve essere attuata prontamente, altrimenti perderebbe il suo effetto educativo, inoltre, non sarebbe giusto ritardare il giudizio per troppo tempo a discapito di un innocente (visto che il reo è tale fino a prova contraria). Egli parla ancora di proporzione fra delitti e pene, critica la tortura e la disuguaglianza tra le pene inflitte a un nobile e quelle inflitte a un povero. Interessantissimo è il ruolo che acquisisce l’educazione, in quanto essa serve a prevenire i delitti.

«Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta»
(XLII, Delle scienze p. 66)

Il messaggio è semplice: l’unico modo per giungere alla creazione di una società sana è l’istruzione. Essa non ci fornisce solo una giusta visione del mondo, ma ci procura una certa dose di intelligenza, la quale ci permette di capire quello che è giusto e quello che è sbagliato, inoltre, di fronte a una mente illuminata dalla conoscenza, «trema l’autorità disarmata di ragioni».

“Parmi un assurdo che le leggi, che sono l’espressione della pubblica volontà, che detestano e puniscono l’omicidio, ne commettono uno esse medesime e, per allontanare i cittadini dall’assassinio, ordinino un pubblico assassinio”

Se volete leggere il testo completo dell'opera potete consultare Wikisource qui


 
Di DL4U (del 18/05/2008 @ 23:14:51, in Impegno sociale, linkato 876 volte)

La memoria del passato è essenziale per comprendere da dove veniamo, per interpretare il nostro presente e costruire il nostro futuro. Un paese che non è in grado di fare i conti con la propria storia , non ne riesce a spiegare gli eventi, e non riesce a fare tesoro delle esperienze del passato ricadrà prima o poi, in forme più o meno diverse, negli stessi errori. Quel paese vivrà in modo ipocrita chiudendo i propri “scheletri” e le proprie pagine da dimenticare in un armadio polveroso nella sempiterna speranza che nessuno o nulla prima o poi lo apra. Un paese che non è in grado di fare i conti con il proprio passato difficilmente potrà mai dirsi un paese adulto. La nostra bell' Italia di scheletri nell’armadio ne ha molti, così tanti che spesso se ne perde anche il ricordo; troppi tasselli della nostra storia recente che sono stati sottratti al pubblico dominio, alla pubblica comprensione impedendo al paese di comprendere le ragioni degli eventi e dei fatti. Le cause di questo oscuramento sono le deviazioni della normalità e delle ideologie, sono i “grigi” della repubblica che nascono dalle commistioni tra i diversi poteri (istituzionale, politico,economico) e le sacche di insoddisfazione sociale che, se trascurate, possono sfociare nella criminalità . Quest’anno ricorrono i trent’anni dall’evento che più emblematicamente rappresenta il culmine della cosiddetta “notte della repubblica”, ovvero dei due decenni della nostra storia contemporanea in cui si incrociarono e si mescolarono le stragi di Stato, i servizi segreti “deviati”, le tragiche parabole del terrorismo nero e rosso ; una cronologia pressoché infinita da Piazza Fontana fino alla stazione di Bologna e Ustica. Erano le 9 del mattino del 16 marzo del 1978, quando in via Mario Fani all'incrocio con via Stresa a Roma si compiva il primo passo del tragico rapimento del presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro. I brigatisti rossi spararono 91 proiettili contro i cinque uomini della scorta uccidendo in una vera e propria mattanza il maresciallo Oreste Leonardi, i brigadieri Domenico Ricci e Francesco Zizzi, gli agenti di polizia Giulio Rivera e Raffaele Iozzino. Dopo quel massacro, i dopo 55 giorni di prigionia e le numerose reticenze degli apparati dello stato e dopo le clamorose sviste delle istituzioni (su tutti l’eclatante errore sul nome di Gradoli), la mattina del 9 maggio 1978, il corpo crivellato di proiettili di Aldo Moro venne rinvenuto nel bagagliaio di un Renault 4 rossa parcheggiata in via Caetani. Le immagini del ritrovamento, del cavadere avvolto in un coperta e della folla assiepata attorno all’auto sono impresse nella memoria di ciascuno di noi. Quel momento segnò il culmine della strategia della tensione e dell’attacco portato dall’eversione al cuore di uno stato già malato e affaticato dalla lunga scia di sangue degli anni di piombo. L’enormità e la crudeltà di quel gesto furono un shock mai completamente riassorbito dal paese intero (molti ancor’oggi a tanti anni di distanza ricordano esattamente dove e come appresero quella notizia) e segnarono una prima ma irreversibile crepa nella solidità del movimento eversivo rosso. La sinistra extraparlamentare, i movimenti di Autonomia Operaia e Lotta Continua e alcuni movimenti sinistrorsi e sindacali definitivamente allontanarono il loro appoggio ai movimenti armati e per la prima volta criticarono in maniera aperta le BR, segnandone così il primo passo verso il lento declino e la dissoluzione degli anni ottanta. La morte di Moro si inserì in periodo di crisi della DC, e in una fase storica dove il PCI stava acquisendo nuovi consensi e stava preparando (proprio grazie alla stagione del compromesso storico aperta da Moro) l’ingresso nella maggioranza di governo; paradossalmente il rapimento e l’uccisione di Moro fruttarono alla DC il distacco dell’opinione elettorale dai partiti della sinistra e rappresentò la figura di un martire che diede forza e compattezza ad un partito in una fase traballante. Molti sono ancora i dubbi, i misteri e i lati tremendamente oscuri di questa vicenda: le reticenze degli apparati statali, i presunti rapporti tra frange deviate dei servizi segreti dello stato e i terroristi , la scoperta di strutture di controllo “parallele” (vedi Gladio) atte ufficialmente a proteggere l’Italia da una ipotetica invasione, ma di fatto sospettate di essere un ingranaggio della strategia della tensione di quegli anni finalizzata ad influenzare e dirigere la politica interna del paese. Il caso Moro è forse l’evento più emblematico di quel periodo duro e controverso della nostra storia recente: accadde dopo tanti e ne precedette altri ancor più drammatici (se consideriamo la brutale contabilità delle vittime) ma per l’importanza storica rappresenta un paradigma del tipico “mistero all’italiana”: a differenza di tanti altri in questo caso qualche nome degli esecutori è saltato fuori (su tutti quelli dei brigatisti Moretti e Maccari), ma mancano le risposte ai ritardi (perché per anni i memoriali di Moro furono dimenticati in un covo a Milano per poi giungere a noi solo incompleti?) , ai mancati ritrovamenti o alle superficialità (perché, pur essendo giunti un paio di volte le forze dell’ordine nei luoghi di prigionia dello statista, non furono fatti i dovuti e approfonditi accertamenti che avrebbero permesso di chiudere diversamente la vicenda?), i nomi degli effettivi “mandanti” sono solo quelli noti dei brigatisti rossi o sono vi sono ulteriori intrecci tra le aderenze degli apparati statali (ufficiali o segreti, deviati o no) e le organizzazioni di eversione di matrice estremista (nera o rossa)? Come dicevo all’inizio nessun paese può dirsi “maturo” e pronto al futuro se prima non fa i conti con il proprio passato e non riesce a sollevare il velo di omertà sui periodi e i fatti oscuri della propria storia. Sono troppi i misteri irrisolti, troppe le morti senza un colpevole e senza una ragione, troppe le commistioni – vere o presunte – che si intrecciano in queste vicende. L’Italia è stata sempre per sua natura un “ponte” tra le diverse culture che si affacciano sul Mediterraneo: occidente e oriente sono sempre convissuti sul nostro territorio, ma questa terra di frontiera per troppi anni (e ancor oggi) è stata oggetto di conquista, di infiltrazione , di commistione per interessi di ogni genere complice una politica troppo spesso collusa e compiacente. Sarebbe lungo fare la lista dei casi ancora oscuri del nostro paese e si correrebbe il rischio di essere incompleti: ciò che davvero conta a distanza di tanti anni dai fatti è la loro memoria collettiva (soprattutto nelle generazioni più giovani), la capacità di analisi e comprensione scevra da preconcetti. Solo così un popolo riesce a far i conti con il proprio passato, ne comprende gli errori e cerca di trovare le opportune contromisure per evitare di compierne ulteriori nel futuro. Fin tanto che non ci sarà questa maturità nel paese, finchè non crescerà nella classe politica e nei poteri dello stato una nuova consapevolezza che forzi le omertà e le collusioni avremo sempre la necessità di rinfrescarci la memoria di tutto quanto ancora in Italia è irrisolto, segreto o incomprensibile sfogliando i nostri, drammatici album di stato… vi avverto: alcune immagini sono abbastanza crude (prima ancora che venisse la privacy e simili i media non andavano molto per il sottile...), ma questa è la nostra storia.

 
Di DL4U (del 23/05/2008 @ 17:54:20, in Impegno sociale, linkato 870 volte)

Il jet di servizio partito dall'aeroporto di Roma-Ciampino atterra a Palermo-Punta Raisi intorno alle 16:45 dopo un viaggio tranquillo di circa 50 minuti. Allo sbarco, sotto la scaletta, aspettano le tre autovetture della scorta della squadra mobile della Polizia di Stato, pronte ad una partenza veloce.

Giovanni Falcone si sistema al posto di guida della Fiat Croma bianca, accanto a lui la moglie Francesca Morvillo. Sulle una delle altre due vetture di scorta ci sono Vito Schifani alla guida, l'agente scelto Antonio Montinaro e l’agente Rocco Di Cillo; sulla terza vettura prendono posto Paolo Capuzzo, Gaspare Cervello e Angelo Corbo. Le auto escono dai cancelli dell’aeroporto in sequenza: prima la Croma marrone di Schifani, poi la Croma bianca guidata da Falcone, e in coda la Croma azzurra di Capuzzo.

Le auto imboccano l'autostrada in direzione Palermo. E’ sera, la situazione è tranquilla, non c’è traffico e le auto procedono a velocità moderata senza l’uso delle sirene. Da una strada parallela, una macchina si affianca e controlla gli spostamenti delle tre Croma blindate, e ne dà segnalazione via radio ad una persona posizionata strategicamente sulle colline prospicienti il litorale; ancora pochi minuti, poi la Sicilia e l’Italia intera non saranno più le stesse.

Ore 17:58, il corteo di auto raggiunge il quinto chilometro della A29. Siamo nei pressi dello svincolo di Capaci-Isola delle Femmine. D’improvviso quella apparente tranquillità è rotta da un boato; l’asfalto si spacca e e si solleva con violenza alzando in cielo una colonna immensa di detriti e rottami metallici. La deflagrazione scaraventa gli occupanti delle le tre auto in un vortice di terra da cui verranno prima uccisi e poi letteralmente sepolti. Una carica di cinque quintali di tritolo, posizionata in un tunnel scavato sotto la sede autostradale, è stata appena azionata con un telecomando da Giovanni Brusca, il sicario incaricato da Totò Riina della morte di Giovanni Falcone. E’ lui la persona che scrutava la scena dalle colline del litorale.



Un’immane e surreale voragine trova posto sulla strada dove è esplosa la carica di tritolo. Tutt' intorno un paesaggio quasi lunare. A richiamare alla realtà sono solo le sagome delle tre auto che a malapena riescono ad essere scorte sotto la montagna di macerie. Giovanni Falcone muore alle 19.05 del 23 maggio del 1992 nell’estremo tentativo di un trasferimento all’ospedale civico di Palermo. Assieme a lui perdono la vita la moglie Francesca e i sei agenti della scorta. Si salvano miracolosamente un ventina di persone che al momento dell'attentato si trovano a transitare con le proprie autovetture sul luogo dell'eccidio. Ma non è finita. Due mesi dopo, il 19 luglio del 1992, in via d’Amelio a Palermo, una seconda carica di 100 kg di tritolo posizionata a bordo di una vecchia Fiat 126 strapperà la vita anche di Paolo Borsellino e dei cinque uomini della scorta. Se ne vanno così nell’arco di due mesi i due principali magistrati del pool antimafia, artefici del primi maxi processo contro Cosa Nostra: da quel processo scaturirono 360 condanne per complessivi 2665 anni di carcere e la mafia per la prima volta dovette seriamente fare i conti con la giustizia dello Stato. Fortunatamente di fronte a quelle immagini di morte la Magistratura, le Forze dell'ordine non persero la volontà di perseguire la lotta egli ideali che furono di Falcone e Borsellino e al loro lavoro per la prima volta si accompagnarono l'attenzione di tutte le forze politiche e la partecipazione convinta dei cittadini. Un impegno che quotidianamente ancor oggi deve essere perseguito da tutti a sedici anni da quelle stragi.

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Giovanni Falcone
(Palermo, 18 maggio 1939 - 23 maggio 1992)

Paolo Borsellino
(Palermo, 19 gennaio 1940 – 19 luglio 1992)

Magistrati antimafia ed eroi italiani.

« Chi tace e chi piega la testa muore ogni volta che lo fa,
chi parla e chi cammina a testa alta muore una volta sola. »

« L'importante non è stabilire se uno ha paura o meno,

è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa.

Ecco, il coraggio è questo, altrimenti non è più coraggio ma incoscienza.»

 
Di DL4U (del 04/08/2008 @ 20:00:35, in Impegno sociale, linkato 868 volte)



Vi siete mai chiesti dove vanno a finire le tonnellate di materiale elettrico o elettronico che ogni anno vengono dismesse o semplicemente buttate? Milioni di telefonini obsoleti, pc ormai datati e ogni forma di elettronica di consumo che semplicemente viene accantonata per lasciar spazio ad un nuovo e fiammante gingillo tecnologico? Spesso si tratta di materiale rotto o malfunzionante, altrettanto spesso si tratta di oggetti ancora perfettamente funzionanti  ma semplicemente obsoleti, vecchi (almeno secondo quanto le multinazionali, il mercato e le mode ci lasciano intendere). I più attenti di noi non gettano questi oggetti nella pattumiera, ma cercano un modo per dar loro nuova vita. Una delle soluzioni più frequenti è quella di inviarli, attraverso organizzazioni no profit o di beneficenza, nei paesi del terzo mondo dove si pensa possano essere riutilizzati in scuole o enti bisognose. Tutto questo è molto onorevole, ed inoltre dovrebbe preservare la natura dall'inquinamento proveniente  dallo smaltimento poco attento dei materiali pericolosi contenuti negli oggetti elettronici (i metalli quali nickel o piombo contenuti nelle batterie, l'arsenio dei tubi catodici, le plastiche non biodegradabili e centinania di altre sostanze cancerogene):  ma siamo davvero sicuri che tutte queste nostre buone intenzioni vengano alla fine rispettate? La cosiddetta industria dell´e-waste (spazzatura elettronica) viene alimentata soprattutto dagli States e dall'Europa, i cui consumatori , credondo di aiutare il pianeta spesso contribuiscono, ignari, al business del commercio dei rifiuti tecnologici, importati e smaltiti in modo irregolare negli angoli più poveri o meno controllati del mondo. Le principali organizzazioni ambientaliste e non governative (su tutte GreenPeace) denunciano questo allarmante fenomeno da più parti:  si stima che una percentuale che va dal 50 all´80 per cento delle 300-400 mila tonnellate di rifiuti elettronici prodotti finisca in Paesi privi di normative adeguate a questo proposito, alimentando un business pericoloso e immorale. (fonte ONU). Su tutti Cina,  Ghana, Nigeria, India. A Guiyu, provincia cinese di Quandong, l´industria della spazzatura elettronica impiega circa 150 mila persone, che lavorano in condizioni sanitarie e ambientali disastrose per recuperare i materiali più pregiati dalle apparecchiature elettroniche (vedi rame o altri metalli pregiati contenuti nelle circuiterie). Ma non solo in Cina finisce la nostra "monnezza": anziché impegnarsi nel riciclo e nello smaltimento, le nazioni industrializzate scaricano, con una certa prevalenza, sul Terzo Mondo la responsabilità dello smaltimento. Computer, telefonini e televisioni finiscono in discariche a cielo aperto dove, per recuperare materiale  utile al sostentamento, vengono bruciati, liberando sostanze molto tossiche per l´ambiente. Oltre alla Cina, il porto nigeriano di Lagos è uno dei più colpiti. Ma anche molte località indiane e africane (su tutte la Nigeria e Ghana). In Ghana l'indagine di Greenpeace ha messo in evidenza una rete di cimiteri clandestini. Le navi ufficialmente cariche di "beni elettronici di seconda mano" arrivano nel più grande porto del paese, a Tema, e da lì prendono la strada del centro di smaltimento di Agbogbloshie, ad Accra, la capitale. Oppure si sperdono nel marasma dei piccoli cimiteri sparsi un po' ovunque. Greenpeace ha fornito i dati relativi a quello di Korforidua, ma è un esempio tra tanti.  E dire che per evitare questo scempio basterebbe un po' più di attenzione da parte delle multinazionali produttori di beni elettronici: un uso oculato dei materiali, introduzione di sostanze riciclabili o basso impatto ambientale, attuazione di serie campagne di riciclo e rottamazione dei prodotti vecchi che dovrebbero essere ritirati a fronte dell'acquisto di un bene nuovo e quindi, dopo una adeguata trasformaziine, reintrodotti nel ciclo produttivo. Se siete interessati all'argomento vi consiglio di leggere questa pagina del sito di GreenPeace (http://www.greenpeace.org/international/press/reports/green-guide-to-electronics-se) e il relativo rapporto d'indagine, che seppur del 2006,vi dà il polso della scarsa attenzione dei colossi dell'elettronica nei confronti del problema. Su tutti spicca il nome di Apple, che nonostante l'immagine giovane ed alternativa pare proprio fare orecchie da mercante al discorso dello smaltimento e riciclo dei suoi prodotti.


 
Di DL4U (del 27/10/2008 @ 21:22:45, in Impegno sociale, linkato 896 volte)

Oggi nel mondo oltre 37 milioni di bambini non possono andare a scuola a causa della guerra.
Sono minori che affrontano un futuro senza speranze. Perché la guerra distrugge le scuole, uccide gli insegnanti, produce popolazioni di sfollati ed eserciti di bambini soldato.



L’istruzione può dare ai bambini protezione, stabilità e le premesse per creare una società più pacifica e prospera. L’educazione può aiutare i bambini a sopravvivere ai conflitti, li può salvare e dar loro un ruolo nella società.

Riscriviamo il Futuro è la campagna internazionale di Save the Children che ha lo scopo di garantire entro il 2010 educazione di qualità a 8 milioni di bambini che vivono in guerra o post-conflitto.

Fino ad oggi, grazie a Riscriviamo il Futuro, Save the Children è riuscita ad assicurare istruzione a quasi 6 milioni di bambini.

Ogni bambino ha diritto all’istruzione. Per un bambino di un paese in guerra, andare a scuola significa molto più che imparare a leggere e a scrivere. Significa la certezza di mangiare almeno una volta al giorno. Significa un posto sicuro dove passare parte della giornata, lontani dai pericoli e spesso dalla guerra. Significa imparare a proteggersi da infezioni e malattie. Significa avere la possibilità di un futuro di pace e più dignitoso.

Contribuire alla campagna "Riscriviamo il  Futuro" è semplice: basta un sms del valore di 2 euro al numero 48545.



 
Di DL4U (del 25/11/2008 @ 23:21:48, in Impegno sociale, linkato 902 volte)
Brescia, 28 maggio 1974 - 25 novembre 2008. Trentaquattro anni, tre inchieste, dieci pronunciamenti, otto morti e 108 feriti, nessun colpevole. Questi sono i numeri di uno dei tanti misteri italiani, di una di quelle storie nere e apparentemente senza fine che caratterizzano la storia recente del nostro paese. Questi sono i numeri della strage causata da una bomba nascosta in un cestino porta rifiuti ed esplosa in Piazza della Loggia, a Brescia, durante una manifestazione sindacale. Un delitto sporco e infame come tutte quelle stragi che, in quel periodo, colpirono innocenti e persone inermi e normali in nome di ideali politici distorti (qualunque questi fossero, senza fare distintizioni tra destra o sinistra). Per Piazza della Loggia da anni si è certi della matrice nera e delle responsabilità attribuibili al gruppo veneto eversivo di Ordine Nuovo; con tutta probabilità sono certi pure i nomi di chi materialmente ha compiuto quell'orrendo eccidio: ma sino ad oggi tutti gli imputati sono sempre stati assolti e agli occhi e al cuore delle famiglie delle vittime e dell'Italia intera quel delitto risulta ancora tragicamente impunito. Una delle tante, troppe, ferite ancora aperte del periodo buio dello stragismo politico ed eversivo degli anni di piombo. Oggi, martedì 25 novembre, la riapertura del processo dopo una terza lunga inchiesta: chiamati alla sbarra con l'accusa di concorso in strage i componenti di Ordine Nuovo Carlo Maria Maggi e Delfo Zorzi (residente in Giappone ormai da molti anni),  Pino Rauti, l'ex generale dei carabinieri Francesco Delfino che coordinò le indagini della prima inchiesta, Maurizio Tramonte, uomo legato ai servizi segreti, e Giovanni Maifredi, operaio bresciano negli anni '70 e confidente dei carabinieri. Nessuno degli imputati si è presentato in aula. Tra le parti civili, oltre alle associazioni delle vittime, anche i sindacati confederali Cgil Cisl e Uil, che il 28 maggio 1974 in piazza avevano organizzato in Piazza della Loggia una manifestazione antifascista, e le amministrazioni comunale e provinciale. Respinte tutte le eccezioni, il processo è iniziato. Chissà se mai avrà una fine e ci sarà finalmente giustizia per quegli innocenti.



Una foto scattata dopo lo scoppio, a Brescia quel 28 maggio.
Tra le persone ritratte forse un sospettato (Maurizio Tramonte)





 
Di DL4U (del 12/12/2008 @ 23:00:00, in Impegno sociale, linkato 1016 volte)

Accadde oggi. Milano, ore 16.37 del 12 dicembre del 1969, la grande città è gia avvolta dal buio invernale appena un poco illuminato dalle prime luminarie del Natale che verrà. D'improvviso quella placida tranquillità di una sera come tante viene squarciata da un orrendo boato: in pieno centro, in Piazza Fontana, alla filiale della Banca Nazionale dell’Agricoltura esplode una bomba, muoiono 17 persone e altre 88 restano ferite, alcune anche in modo grave. Da quell'istante, Milano e l'Italia intera non furono più le stesse. Sono arrivati in un istante gli anni di piombo. Nello stesso giorno una seconda bomba viene ritrovata alla Banca Commerciale Italiana sempre a Milano, inesplosa. A Roma alle 16.55, dopo pochi minuti esplode una bomba nel sottopassaggio tra via Veneto e via San Basilio vicino alla Banca Nazionale del Lavoro, i feriti sono 13.  Alle 17.20 e alle 17.30 sempre nella capitale esplodono altri due ordigni, il primo davanti all’Altare della Patria, il secondo a Piazza Venezia, altri quattro feriti si sommano ad una giornata di vera e propria battaglia eversiva.  In poco meno di un’ora lo Stato viene ferito per ben cinque volte. Gli autori di quella strage e di quel progetto eversivo non si riuscirono mai a trovare.  Il primo ad essere arrestato nello stesso giorno dell’esplosione è Giorgio Pinelli, anarchico milanese che dopo tre giorni di Questura cade dal quarto piano degli uffici e muore. Il 16 dicembre viene arrestato Pietro Valpreda, ma anche stavolta nulla di concreto. Sette processi serviranno solo ad assolvere i vari accusati, mentre taluni esponenti dei Servizi Segreti (individuati poi da Aldo Moro durante le sue deposizioni dalla prigione alle Brigate Rosse, come i veri colpevoli della strage) saranno condannati per vari depistaggi. Piazza Fontana è stata definita  "la madre di tutte le stragi", da quel momento il paese si svegliò dal torpore degli anni '60 per piombare nel periodo delle lotte poliche, delle violenze, della guerriglia combattuta nelle strade, del terrorismo. Nel 2009 ricorreranno i 40 anni di uno dei tanti “segreti eterni” italiani, di uno dei troppi muri di gomma di questo paese.

 
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