La memoria del passato è essenziale per comprendere da dove veniamo, per interpretare il nostro presente e costruire il nostro futuro. Un paese che non è in grado di fare i conti con la propria storia , non ne riesce a spiegare gli eventi, e non riesce a fare tesoro delle esperienze del passato ricadrà prima o poi, in forme più o meno diverse, negli stessi errori. Quel paese vivrà in modo ipocrita chiudendo i propri “scheletri” e le proprie pagine da dimenticare in un armadio polveroso nella sempiterna speranza che nessuno o nulla prima o poi lo apra. Un paese che non è in grado di fare i conti con il proprio passato difficilmente potrà mai dirsi un paese adulto. La nostra bell' Italia di scheletri nell’armadio ne ha molti, così tanti che spesso se ne perde anche il ricordo; troppi tasselli della nostra storia recente che sono stati sottratti al pubblico dominio, alla pubblica comprensione impedendo al paese di comprendere le ragioni degli eventi e dei fatti. Le cause di questo oscuramento sono le deviazioni della normalità e delle ideologie, sono i “grigi” della repubblica che nascono dalle commistioni tra i diversi poteri (istituzionale, politico,economico) e le sacche di insoddisfazione sociale che, se trascurate, possono sfociare nella criminalità . Quest’anno ricorrono i trent’anni dall’evento che più emblematicamente rappresenta il culmine della cosiddetta “notte della repubblica”, ovvero dei due decenni della nostra storia contemporanea in cui si incrociarono e si mescolarono le stragi di Stato, i servizi segreti “deviati”, le tragiche parabole del terrorismo nero e rosso ; una cronologia pressoché infinita da Piazza Fontana fino alla stazione di Bologna e Ustica. Erano le 9 del mattino del 16 marzo del 1978, quando in via Mario Fani all'incrocio con via Stresa a Roma si compiva il primo passo del tragico rapimento del presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro. I brigatisti rossi spararono 91 proiettili contro i cinque uomini della scorta uccidendo in una vera e propria mattanza il maresciallo Oreste Leonardi, i brigadieri Domenico Ricci e Francesco Zizzi, gli agenti di polizia Giulio Rivera e Raffaele Iozzino. Dopo quel massacro, i dopo 55 giorni di prigionia e le numerose reticenze degli apparati dello stato e dopo le clamorose sviste delle istituzioni (su tutti l’eclatante errore sul nome di Gradoli), la mattina del 9 maggio 1978, il corpo crivellato di proiettili di Aldo Moro venne rinvenuto nel bagagliaio di un Renault 4 rossa parcheggiata in via Caetani. Le immagini del ritrovamento, del cavadere avvolto in un coperta e della folla assiepata attorno all’auto sono impresse nella memoria di ciascuno di noi. Quel momento segnò il culmine della strategia della tensione e dell’attacco portato dall’eversione al cuore di uno stato già malato e affaticato dalla lunga scia di sangue degli anni di piombo. L’enormità e la crudeltà di quel gesto furono un shock mai completamente riassorbito dal paese intero (molti ancor’oggi a tanti anni di distanza ricordano esattamente dove e come appresero quella notizia) e segnarono una prima ma irreversibile crepa nella solidità del movimento eversivo rosso. La sinistra extraparlamentare, i movimenti di Autonomia Operaia e Lotta Continua e alcuni movimenti sinistrorsi e sindacali definitivamente allontanarono il loro appoggio ai movimenti armati e per la prima volta criticarono in maniera aperta le BR, segnandone così il primo passo verso il lento declino e la dissoluzione degli anni ottanta. La morte di Moro si inserì in periodo di crisi della DC, e in una fase storica dove il PCI stava acquisendo nuovi consensi e stava preparando (proprio grazie alla stagione del compromesso storico aperta da Moro) l’ingresso nella maggioranza di governo; paradossalmente il rapimento e l’uccisione di Moro fruttarono alla DC il distacco dell’opinione elettorale dai partiti della sinistra e rappresentò la figura di un martire che diede forza e compattezza ad un partito in una fase traballante. Molti sono ancora i dubbi, i misteri e i lati tremendamente oscuri di questa vicenda: le reticenze degli apparati statali, i presunti rapporti tra frange deviate dei servizi segreti dello stato e i terroristi , la scoperta di strutture di controllo “parallele” (vedi Gladio) atte ufficialmente a proteggere l’Italia da una ipotetica invasione, ma di fatto sospettate di essere un ingranaggio della strategia della tensione di quegli anni finalizzata ad influenzare e dirigere la politica interna del paese. Il caso Moro è forse l’evento più emblematico di quel periodo duro e controverso della nostra storia recente: accadde dopo tanti e ne precedette altri ancor più drammatici (se consideriamo la brutale contabilità delle vittime) ma per l’importanza storica rappresenta un paradigma del tipico “mistero all’italiana”: a differenza di tanti altri in questo caso qualche nome degli esecutori è saltato fuori (su tutti quelli dei brigatisti Moretti e Maccari), ma mancano le risposte ai ritardi (perché per anni i memoriali di Moro furono dimenticati in un covo a Milano per poi giungere a noi solo incompleti?) , ai mancati ritrovamenti o alle superficialità (perché, pur essendo giunti un paio di volte le forze dell’ordine nei luoghi di prigionia dello statista, non furono fatti i dovuti e approfonditi accertamenti che avrebbero permesso di chiudere diversamente la vicenda?), i nomi degli effettivi “mandanti” sono solo quelli noti dei brigatisti rossi o sono vi sono ulteriori intrecci tra le aderenze degli apparati statali (ufficiali o segreti, deviati o no) e le organizzazioni di eversione di matrice estremista (nera o rossa)? Come dicevo all’inizio nessun paese può dirsi “maturo” e pronto al futuro se prima non fa i conti con il proprio passato e non riesce a sollevare il velo di omertà sui periodi e i fatti oscuri della propria storia. Sono troppi i misteri irrisolti, troppe le morti senza un colpevole e senza una ragione, troppe le commistioni – vere o presunte – che si intrecciano in queste vicende. L’Italia è stata sempre per sua natura un “ponte” tra le diverse culture che si affacciano sul Mediterraneo: occidente e oriente sono sempre convissuti sul nostro territorio, ma questa terra di frontiera per troppi anni (e ancor oggi) è stata oggetto di conquista, di infiltrazione , di commistione per interessi di ogni genere complice una politica troppo spesso collusa e compiacente. Sarebbe lungo fare la lista dei casi ancora oscuri del nostro paese e si correrebbe il rischio di essere incompleti: ciò che davvero conta a distanza di tanti anni dai fatti è la loro memoria collettiva (soprattutto nelle generazioni più giovani), la capacità di analisi e comprensione scevra da preconcetti. Solo così un popolo riesce a far i conti con il proprio passato, ne comprende gli errori e cerca di trovare le opportune contromisure per evitare di compierne ulteriori nel futuro. Fin tanto che non ci sarà questa maturità nel paese, finchè non crescerà nella classe politica e nei poteri dello stato una nuova consapevolezza che forzi le omertà e le collusioni avremo sempre la necessità di rinfrescarci la memoria di tutto quanto ancora in Italia è irrisolto, segreto o incomprensibile sfogliando i nostri, drammatici album di stato… vi avverto: alcune immagini sono abbastanza crude (prima ancora che venisse la privacy e simili i media non andavano molto per il sottile...), ma questa è la nostra storia.