NEW YORK, 18 dicembre 2007
Pena di morte, l'Onu dice sì alla moratoria.
La Terza commissione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato ieri sera ad ampia maggioranza la risoluzione che chiede una moratoria internazionale sulla pena di morte. Il voto è stato di 99 Paesi a favore, 52 contrari e 33 astenuti. Le probabilità di passaggio erano aumentate con la bocciatura di tutti gli emendamenti posti sul suo cammino. La decisione apre adesso la strada a una presa di posizione dell'intera Assemblea generale entro fine anno.
«È una vittoria di tutta l'Italia - ha commentato il ministro degli Esteri, Massimo D'Alema - l'Italia conferma di essere in prima linea nel mondo in materia di tutela dei diritti umani». Sulla stessa lunghezza d'onda l'ambasciatore italiano al Palazzo di Vetro, Marcello Spatafora, che subito dopo il voto ha dichiarato: «Quella vinta oggi è una battaglia di cui tutti dovremmo essere orgogliosi». L'Italia ha svolto infatti un ruolo di primo piano nella campagna e nei negoziati per far avanzare la risoluzione, divenuta una priorità di politica estera.
Il testo, dopo due giorni di teso dibattito, è rimasto invariato con ben 14 emendamenti, spesso presentati con l'intento di far deragliare la risoluzione, tutti respinti. La commissione aveva aperto i lavori mercoledì, per proseguirli giovedì mattina: gli emendamenti sono stati bocciati in media con 80 voti contro 70, una ventina di astensioni e altrettanti non partecipanti alle deliberazioni. Le dichiarazioni di voto sulla risoluzione sono cominciate verso le tre di pomeriggio ora di New York, dopo che anche un ultimo tentativo degli oppositori di far votare la risoluzione punto per punto era fallito. L'approvazione richiedeva soltanto una maggioranza semplice dei Paesi votanti.
La decisione della Terza commissione rappresenta un passo molto importante ma ancora non definitivo per la risoluzione. L'appuntamento, infatti, è ora con l'Assemblea generale, probabilmente a metà dicembre, per un voto sulla moratoria: se varata dai 192 Paesi la risoluzione acquisterà un immmediato valore morale, anche se non sarà vincolante. Negli anni Novanta due proposte di risoluzione, che tuttavia chiedevano l'immediata abolizione della pena di morte anziché una moratoria, si erano arenate.
Il voto in commissione è giunto al termine di una saga già rivelatasi lunga e difficile: la moratoria era rimasta ostaggio di richieste di porre l'accento sull'eliminazione della pena capitale e di controproposte per ammorbidire il testo. La risoluzione alla fine presentata e ieri approvata invoca una moratoria in vista di una futura eliminazione.
Il testo sottolinea che la pena capitale «danneggia la dignità umana», che «non esistono prove conclusive del suo valore deterrente» e che «qualunque errore giudiziario nella sua applicazione è irreversibile e irreparabile». Inizialmente 72 Paesi, fra cui l'Italia e tutte le nazioni dell'Unione Europea, avevano sottoscritto il testo, un elenco in seguito allungatosi a 87 firmatari. I sostenitori comprendono ad oggi una dozzina di capitali latinoamericane e otto Paesi africani, dal Brasile all'Angola.
Le più strenue obiezioni sono arrivate da Paesi mediorientali, asiatici e caraibici. Tra i critici più convinti della risoluzione si è distinto Singapore, ma resistenze sono emerse anche da Botswana, Barbados, Iran, Egitto e anche Cina. Iran, Cina, Stati Uniti, Pakistan e Sudan vantano oggi il 90% delle esecuzioni al mondo.
Alcune delle obiezioni, sintomo delle polemiche che dividono l'Onu sulla pena di morte, hanno anche sollevato lo spettro del colonialismo e dell'interferenza negli affari interni di singole nazioni. «Abbiamo visto - ha detto il rappresentante di Singapore Kevin Cheok - simili episodi in passato. C'era un tempo in cui le nostre vedute venivano ignorate». Cheok ha dichiarato che il dibattito sulla pena di morte minaccia di «avvelenare» il clima alle Nazioni Unite. L'ambasciatore italiano Marcello Spatafora ha respinto simili accuse e ha risposto che l'iniziativa per la moratoria è internazionale
(articolo di M.Valsania - tratto da il "www.ilsole24ore.com" )
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Per una volta forse c'è da essere orgogliosi di essere italiani...
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Lo ricordo ancora come una delle letture più interessanti che mi proposero ai tempi del liceo: tra le tante opere di cui l’Italia deve andare fiera spicca Dei delitti e delle pene (1764), di Cesare Beccaria. L’autore, testimone esemplare dell'Illiminismo italiano. nasce a Milano nel 1738 e dal 1760 si interessa di filosofia, grazie allo studio delle idee di Montesquieu e di Rousseau. Quattro anni più tardi, scrive e pubblica Dei delitti e delle pene.
L’opera è un trattatello nel quale l’autore esprime idee di stampo indubbiamente illuminista; i destinatari, a cui spesso si rivolge in modo diretto, sono i sovrani illuministi, chiamati anche «benefattori dell’umanità», sta a loro, infatti, il compito di assicurare al popolo un governo più giusto. L’autore viene oggi poco ricordato, eppure è a lui che dobbiamo molti dei principi civili a cui siamo abituati.
Il libro stupisce per la sua modernità. Beccaria esamina con estrema lucidità un certo numero di reati e le loro rispettive pene. Partendo dal contratto sociale, prosegue parlando dell’origine e dello scopo delle pene, le quali non sono una punizione, bensì un allontanamento dalla società a scopo rieducativo. Egli affronta temi attualissimi come l’interpretazione arbitraria delle leggi, la pena di morte, e la prontezza della pena. Il principio base di una legge è la chiarezza. La legge non deve aver bisogno di interpreti che la rigirino a proprio favore; la pena di morte è ingiusta in quanto immorale e antieducativa — non si può insegnare a un popolo a ripudiare l’omicidio, se lo Stato stesso ne fa uso —; la pena deve essere attuata prontamente, altrimenti perderebbe il suo effetto educativo, inoltre, non sarebbe giusto ritardare il giudizio per troppo tempo a discapito di un innocente (visto che il reo è tale fino a prova contraria). Egli parla ancora di proporzione fra delitti e pene, critica la tortura e la disuguaglianza tra le pene inflitte a un nobile e quelle inflitte a un povero. Interessantissimo è il ruolo che acquisisce l’educazione, in quanto essa serve a prevenire i delitti.
«Volete prevenire i delitti? Fate che i lumi accompagnino la libertà. I mali che nascono dalle cognizioni sono in ragione inversa della loro diffusione, e i beni lo sono nella diretta»
(XLII, Delle scienze p. 66)
Il messaggio è semplice: l’unico modo per giungere alla creazione di una società sana è l’istruzione. Essa non ci fornisce solo una giusta visione del mondo, ma ci procura una certa dose di intelligenza, la quale ci permette di capire quello che è giusto e quello che è sbagliato, inoltre, di fronte a una mente illuminata dalla conoscenza, «trema l’autorità disarmata di ragioni».
“Parmi un assurdo che le leggi, che sono l’espressione della pubblica volontà, che detestano e puniscono l’omicidio, ne commettono uno esse medesime e, per allontanare i cittadini dall’assassinio, ordinino un pubblico assassinio”
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