Vi siete mai chiesti dove vanno a finire le tonnellate di materiale elettrico o elettronico che ogni anno vengono dismesse o semplicemente buttate? Milioni di telefonini obsoleti, pc ormai datati e ogni forma di elettronica di consumo che semplicemente viene accantonata per lasciar spazio ad un nuovo e fiammante gingillo tecnologico? Spesso si tratta di materiale rotto o malfunzionante, altrettanto spesso si tratta di oggetti ancora perfettamente funzionanti ma semplicemente obsoleti, vecchi (almeno secondo quanto le multinazionali, il mercato e le mode ci lasciano intendere). I più attenti di noi non gettano questi oggetti nella pattumiera, ma cercano un modo per dar loro nuova vita. Una delle soluzioni più frequenti è quella di inviarli, attraverso organizzazioni no profit o di beneficenza, nei paesi del terzo mondo dove si pensa possano essere riutilizzati in scuole o enti bisognose. Tutto questo è molto onorevole, ed inoltre dovrebbe preservare la natura dall'inquinamento proveniente dallo smaltimento poco attento dei materiali pericolosi contenuti negli oggetti elettronici (i metalli quali nickel o piombo contenuti nelle batterie, l'arsenio dei tubi catodici, le plastiche non biodegradabili e centinania di altre sostanze cancerogene): ma siamo davvero sicuri che tutte queste nostre buone intenzioni vengano alla fine rispettate? La cosiddetta industria dell“e-waste (spazzatura elettronica) viene alimentata soprattutto dagli States e dall'Europa, i cui consumatori , credondo di aiutare il pianeta spesso contribuiscono, ignari, al business del commercio dei rifiuti tecnologici, importati e smaltiti in modo irregolare negli angoli più poveri o meno controllati del mondo. Le principali organizzazioni ambientaliste e non governative (su tutte GreenPeace) denunciano questo allarmante fenomeno da più parti: si stima che una percentuale che va dal 50 all“80 per cento delle 300-400 mila tonnellate di rifiuti elettronici prodotti finisca in Paesi privi di normative adeguate a questo proposito, alimentando un business pericoloso e immorale. (fonte ONU). Su tutti Cina, Ghana, Nigeria, India. A Guiyu, provincia cinese di Quandong, l“industria della spazzatura elettronica impiega circa 150 mila persone, che lavorano in condizioni sanitarie e ambientali disastrose per recuperare i materiali più pregiati dalle apparecchiature elettroniche (vedi rame o altri metalli pregiati contenuti nelle circuiterie). Ma non solo in Cina finisce la nostra "monnezza": anziché impegnarsi nel riciclo e nello smaltimento, le nazioni industrializzate scaricano, con una certa prevalenza, sul Terzo Mondo la responsabilità dello smaltimento. Computer, telefonini e televisioni finiscono in discariche a cielo aperto dove, per recuperare materiale utile al sostentamento, vengono bruciati, liberando sostanze molto tossiche per l“ambiente. Oltre alla Cina, il porto nigeriano di Lagos è uno dei più colpiti. Ma anche molte località indiane e africane (su tutte la Nigeria e Ghana). In Ghana l'indagine di Greenpeace ha messo in evidenza una rete di cimiteri clandestini. Le navi ufficialmente cariche di "beni elettronici di seconda mano" arrivano nel più grande porto del paese, a Tema, e da lì prendono la strada del centro di smaltimento di Agbogbloshie, ad Accra, la capitale. Oppure si sperdono nel marasma dei piccoli cimiteri sparsi un po' ovunque. Greenpeace ha fornito i dati relativi a quello di Korforidua, ma è un esempio tra tanti. E dire che per evitare questo scempio basterebbe un po' più di attenzione da parte delle multinazionali produttori di beni elettronici: un uso oculato dei materiali, introduzione di sostanze riciclabili o basso impatto ambientale, attuazione di serie campagne di riciclo e rottamazione dei prodotti vecchi che dovrebbero essere ritirati a fronte dell'acquisto di un bene nuovo e quindi, dopo una adeguata trasformaziine, reintrodotti nel ciclo produttivo. Se siete interessati all'argomento vi consiglio di leggere questa pagina del sito di GreenPeace (
http://www.greenpeace.org/international/press/reports/green-guide-to-electronics-se) e il relativo rapporto d'indagine, che seppur del 2006,vi dà il polso della scarsa attenzione dei colossi dell'elettronica nei confronti del problema. Su tutti spicca il nome di Apple, che nonostante l'immagine giovane ed alternativa pare proprio fare orecchie da mercante al discorso dello smaltimento e riciclo dei suoi prodotti.