Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
AMICI MIEI
(di Mario Monicelli, 1975)
Un racconto divertente e amaro che segna l’ultimo periodo della vera commedia all’italiana: queste poche parole basterebbero a definire “Amici Miei” , pellicola italiana del 1975. Il film nasce come opera di Pietro Germi, ma la malattia portò via il regista nei giorni dell’inizio delle riprese; il progetto fu quindi affidato a Mario Monicelli, grande amico di Germi e già autore di lavori nello stesso solco narrativo quali “I soliti ignoti”, “La grande guerra” e “L’armata Brancaleone”. Cinque gli amici e i protagonisti del racconto : il giornalista e io narrante del film Giorgio Perozzi (Philippe Noiret), l’architetto comunale Rambaldo Melandri (Gastone Moschin), il conte spiantato Lello Mascetti (Ugo Tognazzi), il barista Guido Necchi (Duilio Del Prete) e il Professor Sassaroli (Adolfo Celi). Sono tutti uomini di mezza età, amici inseparabili e infaticabili goliardi. A far da sfondo delle loro avventure e scorribande, le cosiddette "zingarate" , una Firenze degli anni settanta.
Tra i componenti di questo piccolo nucleo vige la vitalità, la complicità e la consapevolezza che lo sberleffo e la burla sono ormai l’unica risposta possibile al grigiore dall'ambiente, dal lavoro, dalla famiglia.
L’ amarezza, che nonostante la vena goliardica dei protagonisti, è la vera protagonista di questo film, è di fatto la grande protagonista della vita stessa; quell’esistenza che va stretta ai nostri personaggi e che quindi cercano una semplice fuga dalla realtà, mascherata dal desiderio di divertirsi, di non farsi scappare l'occasione per giocare. Si definiscono “zingari” perché sentono in loro un desiderio irrinunciabile di libertà e di distacco del piattume della propria vita, si cercano e si uniscono per dar vita ad indimenticabili avventure attraverso le quali si affrancano temporaneamente dai problemi di tutti i giorni. Quando gli zingari tornano dalle loro scorribande è spesso il silenzio che domina la scena: un silenzio che significa un maledetto e inevitabile ritorno alla normalità, ai dispiaceri della vita, alla realtà fatta di problemi.
Fannulloni, immaturi e spiantati ecco le principali qualità degli “zingari” di Monicelli.
Ugo Tognazzi (il conte Lello Mascetti): nobile decaduto, appartenente nostalgico di una generazione passata che ha vissuto nell’ozio e ormai destinata verso un inevitabile declino. Ormai (siamo nel 1975) il ’68 è venuto con il suo carico di rivoluzioni: la società è mutata radicalmente mettendo tutti sullo stesso piano, abolendo certi privilegi, e imponendo a tutti di lavorare per sopravvivere. Ma il Mascetti, non si rassegna, continua a vivere il suo desiderio di nobiltà, facendo la “vita” mantenendo alta una sua dignità, non accettando elemosine e le collette degli amici. Le sue fughe sono un disperato tentativo di fuga da una dura realtà fatta di un squallido monolocale in uno scantinato e di una famiglia ridotta a mendicare aiuti a destra e a manca per sopravvivere ai morsi della fame.
Nel ruolo del Mascetti, un indimenticabile e commovente Ugo Tognazzi che per questo film vinse, nel 1976, il David di Donatello come miglior attore.
Adolfo Celi (il professor Sassaroli): è un medico chirurgo roccioso,un affermato e stimato primario in una clinica privata fiorentina. Alto borghese, ricco, una bella moglie, due figlie e una grande casa; spregiudicato sino alla follia non si fa molti scrupoli a cedere le familiari (incluso un cane e una governante) all'architetto Melandri per unirsi alla banda degli “zingari”. Forse il vero motore vulcanico del gruppo, sono mitiche le ricorrenti scene in cui abbandona un paziente già pronto sul letto operatorio per correre dagli amici.
Gastone Moschin (l'architetto precario del comune Rambaldo Melandri): è il romanticone e sognatore del gruppo; si innamora, che perde più volte la testa per una donna, allontanandosi dagli amici. Poi bastonato e con la coda tra le gambe, rinsavisce, e torna dagli amici a divertirsi e a modo suo ritorna uomo. Ora triste ora gioviale, umanissimo nelle sue escursioni di umore e di sentimenti è forse il personaggio più vicino a tutti noi.
Philippe Noiret (il giornalista della Nazione Giorgio Perozzi): è anche la voce narrante del film, costantemente ripreso dal figlio che gli rimprovera l’immaturità e l’incapacità di vivere responsabilmente la sua condizione di uomo adulto. Noiret, maschera di sconcertante espressività, rappresenta la noia, lo scherno, il divertimento, il non prendere nulla sul serio. Una curiosità: in questo film Noiret è doppiato in italiano da Renzo Montagnani ovvero l'attore che nei due seguiti del film originale interpreterà il personaggio del Necchi.
Duilio Del Prete (il Necchi): è il proprietario del bar, nonché ritrovo, dove nascono e finiscono tutte le zingarate. E' un personaggio che è destinato a scomparire nel mondo e nella società che sta arrivando: maschilista convinto, opprimente e menefreghista nei confronti della moglie.
In mezzo a questi personaggi e queste vite, fatte di meschinità, di angoscianti tentativi di emancipazione da una realtà che disgusta e ripugna, ci sono le zingarate: c'è il 'tutto giù', quando per fingere di costruire un'autostrada che attraversa un paese gli zingari si divertono a gettare nella massima apprensione gli inebetiti paesani.
C'è la supercazzola (o come meglio dovrebbe essere definita “supercazzora”) con scappellamento a destra: il nonsense verbale per eccellenza improvvisato per inebetire e confondere la vittima e far ridere gli amici. Il marchio di fabbrica del Mascetti, una perla di pura genialità comica che solo dalla mente di Tognazzi poteva partorire. Ed infine la scena mitica degli schiaffi alla stazione: ovvero il delirio collettivo. Una sequenza del film che ha fatto la storia del cinema ed è pura arte nella sua completa illogicità e follia . Il riso e il pianto, l'ironia e l'amarezza vivono il loro climax nella scena finale, quando i quattro superstiti, pur piangendo il compagno morto (il Perozzi), trovano egualmente lo spirito per mettere a segno una nuova zingarata, in una vena dissacratoria che rimane inarrestabile e che arriva a sbeffeggiare e ridicolizzare anche la morte. Un finale dolce e amaro che comunque lascia allo spettatore un sorriso velato di amarezza sulla bocca. E’ forse l’ultimo vero capolavoro della commedia all'italiana che è stata di Sordi, De Sica e Totò. Al film seguiranno due seguiti negli anni ottanta (Atto Secondo e Terzo), di cui solo il secondo è degno di menzione .Una citazione particolare per la toccante colonna sonora, firmata da Carlo Rustichelli.
Il testo della prima "supercazzora" del film tra il Mascetti e un vigile
che lo vuol multare per uso improprio del clacson:
Mascetti - Prematurata la supercazzora o scherziamo?.
Vigile - Prego?
Mascetti - No, scusi... Noi siamo in quattro, come se fosse antani anche per lei soltanto in due, oppure in quattro anche scribai con cofandina, come antifurto per esempio?
Vigile - Ma quale antifurto?! Questi signori qua stavano suonando loro, non si intrometta!
Mascetti - No scusi mi faccia vedere l'indice... Guardi! Guardi! Lo vede che stuzzica? Che prematura anche? Allora io potrei dirle anche due parole come vicesindaco capisce?
Vigile - Vicesindaco?
Perozzi e Melandri - Ah! Ah! Ah!
Vigile - Basta così, mi seguano al commissariato!
Perozzi - No eh?! No... Antani secondo l'articolo 12 abbi pazienza... Sennò posterdati per due anche un pochino antani in prefettura!
Mascetti - Senza considerare che la supercazzora brematurata ha perso i contatti col terapio tapioco...
Perozzi - Dopo!
Un post un po' diverso... Vi propongo una raccolta di citazioni attribuite a Jim Morrison. Cantante e poeta. Controverso, punto di riferimento per generazioni diverse di giovani, eroe maledetto e angelo ribelle. La sua morte precoce nel 1971 a soli 27 anni lo ha reso, come spesso capita in questi casi, un mito della musica e il profeta moderno della libertà.
Le frasi sono state riportate come pubblicate dalla fonte originale (Wikiquote).
Una raccolta di parole e pensieri in cui ciascuno di noi può trovare qualcosa di interessante.
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Alcuni dicono che la pioggia è brutta, ma non sanno che permette di girare
a testa alta con il viso coperto dalle lacrime.
Ama ragazza, ama perdutamente e, se ti dicono l'amore è peccato, ama il peccato e sarai innocente.
Amare significa pensare intensamente a qualcuno, dimenticando sé stessi.
Amo gli adolescenti perché tutto quello che fanno lo fanno per la prima volta.
Anche i fiori piangono, e ci sono stupidi che pensano sia rugiada.
A volte il vincitore è semplicemente chi non ha mai mollato.
Beato chi non avrà sogni da realizzare, perché non sarà mai deluso.
C'è il sacro terrore della morte, ma la morte è un fatto naturale, credo che la morte sia un'amica dell'uomo, perché mette fine a quel grande dolore che è la vita.
Cerca di essere sempre te stesso, così un giorno potrai dire di essere stato l'unico.
Chi di voi sa veramente di essere vivo? Noi siamo solo soldatini di fango in una guerra in miniatura.
Chi rinuncia ai sogni è destinato a morire.
Ciascun giorno è farsi un giro nella storia.
Ci sono diversi tipi di libertà, e ci sono parecchi equivoci in proposito… Il genere più importante di libertà è di essere ciò che si è davvero. Si baratta la propria libertà per un ruolo. Si barattano i propri sensi per un atto. Si svende la propria capacità di sentire, e in cambio si indossa una maschera. Si può privare un uomo della sua libertà politica e non lo si ferirà –
finché non lo si priverà della sua libertà di sentire. Questo può distruggerlo.
Comprare droga è come comprare un biglietto per un mondo fantastico,
ma il prezzo di questo biglietto è la vita.
Darei la vita per non morire.
Darei tutti i miei giorni per un unico ieri.
Datemi un sogno in cui vivere perché la realtà mi sta uccidendo.
Di questi tempi la fuga è l'unico mezzo per continuare a sognare.
Dicono che l'amore è vita, io per amore sto morendo.
Dicono che sbagliando s'impara, allora lasciatemi sbagliare.
Dopo il suo sangue, la cosa migliore che un uomo può dare di sé è una lacrima.
È il Sole ad inseguire la Luna, o la Luna ad inseguire il Sole? E il cielo si stancherà mai di far loro da terzo incomodo?
È meglio stare all'ombra e vedere la luce che stare alla luce e vedere l'ombra.
È meglio una fine disperata che una disperazione senza fine.
È nel momento in cui dubiti di volare che perdi per sempre la facoltà di farlo.
Essere allegri non significa necessariamente essere felici, talvolta si ha voglia di ridere e scherzare per non sentire che dentro si ha voglia di piangere.
Fra il bene e il male c'è una porta, e io l'aprirò!
Fuoco, cammina con me!
Guarda le piccole cose perché un giorno ti volterai e capirai che erano grandi.
Ho dato tutto ciò che potevo, sono poeta che racconta le sue storie e che canta i suoi versi. Se volete ascoltarmi tutti insieme, andremo lontano; se non vorrete ascoltarmi...
I dubbi te li crea la libertà.
I sogni sono come le stelle, basta alzare gli occhi e sono sempre là.
Il bourbon è un infuso maligno, richiama un siero di temerarietà, un veleno raffinato di scarafaggi e corteccia, foglie e ali di mosca raschiate dalla terra, una pellicola spessa; fluidi mestruali certo contribuiscono col loro splendore. È la bevanda delle aquile. (da Tempesta elettrica)
Il futuro non esiste, è qualcosa che noi ricorriamo e, quando lo raggiungiamo,
subito diventa presente e poi passato.
Il mio migliore amico è lo specchio, perché quando piango non ride mai.
Il mio più grande dolore è non poter far niente per la persona che amo.
Il passaggio più importante della vita è quello tra due amici e due innamorati.
Incontrami per la città, mentre vago per la città, in cerca di qualcosa che non so,
incontrami e sorridimi, poi va per la tua strada.
Invece di sentirti in colpa o cercare delle scuse per delle azioni negative compiute in passato, incomincia ora ad agire positivamente.
Io amo e vivo in silenzio ma dietro ogni sorriso nascondo una lacrima di dolore. Io sono così perché rispecchio quello che ho dentro.
Io non sarò mai nessuno, ma nessuno sarà mai come me.
Io vivo per dominare la vita, non per essere schiavo.
L'anima di una persona è nascosta in uno sguardo per questo abbiamo
paura di farci guardare negli occhi.
L'unico modo per sentirsi qualcuno è sentirsi se stessi.
La droga è la speranza di chi speranza non ne ha più.
La felicità è fatta d'un niente che al momento in cui lo viviamo ci sembra tutto.
La liberazione interiore è l'unica cosa per cui valga la pena di morire,
l'unica per cui valga la pena di vivere.
La mente mette i limiti, il cuore li spezza.
La notte è un pozzo nero dove intingo inchiostro per le mie poesie.
La perenne tentazione della vita è quella di confondere i sogni con la realtà.
La solitudine è ascoltare il vento e non poterlo raccontare a nessuno.
La vera felicità non è in fondo a un bicchiere, non è dentro a una siringa:
la trovi solo nel cuore di chi ti ama.
La vera poesia non dice niente, elenca solo delle possibilità. Apre tutte le porte.
E voi potete passare per quella che preferite.
La vita è come un'autostrada: non finisce mai, ma ci si resta sempre vittima.
La vita è come uno specchio: ti sorride se la guardi sorridendo.
Le droghe sono una scommessa con la mente.
Le persone credono di essere libere, ma sono solo libere di crederlo.
Liberate l'amore o liberatevene per sempre!
Malinconia del passato, gioia del presente, pentimento del futuro... questa la vita.
Mi chiamano drogato perché mi faccio le canne, ma non sanno
che la vera droga è la crudeltà dell'uomo.
Nella vita ci sarà sempre un bastardo che ti farà soffrire, ma sarà l'unica persona
che riuscirai ad amare veramente.
Non accontentarti dell'orizzonte, cerca l'infinito.
Non amare per paura di soffrire è come non vivere per paura di morire.
Non arrenderti mai, perché quando pensi che sia tutto finito, è il momento in cui tutto ha inizio.
Non avere paura della morte, fa meno male della vita.
Non c'è notte tanto grande da non permettere al Sole di risorgere il giorno dopo.
Non cercare l'impossibile in questo mondo di pazzi, non vi è luogo dove tu possa rifugiarti, ma se trovi qualcuno che ami tienilo stretto perché ricorda: si nasce e si muore soli... tutto il resto è niente.
Non credere a chi ti dice "ti amo", ma a chi ti guarda negli occhi e tace.
Non dire mai che i sogni sono inutili perché inutile è la vita di chi non sa sognare.
Non essere così triste e pensieroso, ricorda che la vita è come uno specchio:
ti sorride se la guardi sorridendo.
Non diventerò vecchio: io sono come una stella cadente.
Non fuggire in cerca di libertà quando la tua più grande prigione è dentro di te.
Non ha importanza che una cosa sia vera, l'importante è crederci!
Non ho chiesto a nessuno di nascere, perciò lasciatemi vivere come voglio.
Non parlare mai di amore e pace: un Uomo ci ha provato e lo hanno crocifisso.
Non pentirti di qualcosa che hai fatto, se quando l'hai fatta eri felice.
Non piangere per chi non merita il tuo sorriso.
Non piangere per me che parto, ma pensa che se domani piove me ne sono andato a cercare il Sole.
Non piangere se un amico ti ha lasciato: solo quando ti avrà dimenticato potrai
dire di averlo perso per sempre.
Non serve strappare le pagine della vita, basta saper voltar pagina e ricominciare.
Non si può dire di aver vissuto se prima non si è provato ciò che è proibito.
Non tradire chi ti sorride: potrebbe avere la morte nel cuore e regalarti ugualmente un po' di vita.
Non vivere con la paura di morire, ma muori con la gioia di aver vissuto.
Non volevo nascere (e sono nato), non volevo vivere (e sto vivendo), ma quando morirò andrò in paradiso (perché l'inferno lo sto già vivendo).
Non è cercando di essere gli altri che si è se stessi.
Non è forte chi non cade mai, ma chi cadendo trova la forza di rialzarsi.
Non è tanto dell'aiuto degli amici che abbiamo bisogno, ma del poter far affidamento su quell'aiuto.
Ognuno di noi ha un paio di ali, ma solo chi sogna impara a volare.
Penso a me stesso come a un essere umano intelligente e sensibile, ma con l'anima di un pagliaccio, che mi costringe a distruggere tutto nel momento più importante.
Per cancellare una vita ci vuole un attimo, per cancellare un attimo ci vuole una vita.
Perché bevo? Così posso scrivere poesie. Talvolta quando si è a fine corsa e ogni bruttura recede in un sonno profondo c'è come un risveglio e ogni cosa rimasta è reale. Per quanto devastato è il corpo lo spirito cresce in energia. Perdonami Padre poiché so quello che faccio. Voglio ascoltare l'ultima Poesia dell'ultimo Poeta.
Perché è scandaloso fare l'amore a 16 anni se si può morire a tutte le età?
Perdonami Padre poiché so quello che faccio.
Prima di morire voglio sentire l'urlo di una farfalla.
Quando imparerai a fregartene della gente, solo allora sarai grande.
Quando la gente mi chiede cosa vuol dire amare, abbasso gli occhi per paura di ricordare.
Quando la guerra sarà finita, saremo troppo stanchi per goderci la vita.
Quando lei ti lascerà perché avrà trovato due occhi più belli dei tuoi, altre mani da stringere, un'altra bocca da baciare... non odiarla, ma ricorda i momenti che avete passato insieme e ringraziala... perché lei ti ha dato un poco della sua vita.
Quando ti sveglierai e non vedrai più il sole, o sarai morto o sarai tu il sole.
Questa notte non può durare in eterno, perché fra poco arriverà il mattino,
ammesso che ci sia un domani.
Rifiutarsi di amare per paura di soffrire è come rifiutarsi di vivere per paura di morire.
Rido ma non sono felice: sto solo recitando un copione chiamato vita. citazione necessaria
Se ami qualcosa lasciala andare via, solo se torna sarà veramente tua.
Se devi vivere tutta la vita strisciando come un verme, alzati e muori!
Se dovessi scegliere tra il tuo amore e la mia vita, sceglierei il tuo amore, perché è la mia vita.
Se dovessi scegliere tra la vita e la morte, perché non esiste vita senza di te, di sicuro sceglierei la morte prima che mi scelga lei.
Se hai un'idea rispettala, non perché è un'idea, ma perché è tua.
Se la morte è il risveglio, la vita è un sogno.
Se le persone che parlano male di me, sapessero quello che dico io di loro, parlerebbero peggio.
Se non hai ragione per vivere, non trovarne una per morire.
Se per vivere ti dicono "siediti e stai zitto", tu alzati e muori combattendo.
Se qualcuno ti dice vivi strisciando, tu alzati e muori ridendo!
Se sei triste e vorresti morire, pensa a chi è triste e vorrebbe vivere ma sa di dover morire.
Se ti dicono che l'amore è un sogno, sogna pure ma non stupirti se ti svegli piangendo.
Se ti droghi ti capisco, perché il mondo ti fa schifo; se non lo fai ti ammiro, perché sei in grado di combatterlo.
Se tu fossi una lacrima, io non piangerei per paura di perderti.
Se una mattina ti svegli e non vedi il sole, o sei morto, o sei il sole.
Siamo buoni a nulla, ma capaci di tutto.
Sii sempre come il mare che infrangendosi contro gli scogli, trova sempre la forza per riprovarci.
Smetterò di amarti solo quando un pittore sordo riuscirà a dipingere il rumore di un petalo di rosa cadere su un pavimento di cristallo di un castello mai esistito.
Sogna perché nel sonno puoi trovare quello che il giorno non ti può dare.
Solo chi non conosce il dolore, può ridere di chi soffre.
Solo chi sogna impara a volare.
Solo colui che fu messo in croce ebbe l'onore di portare i capelli
lunghi senza essere chiamato drogato.
Solo quando i sogni vanno persi come lacrime nella pioggia è arrivato il momento di morire.
Sono nato in un buco, ho vissuto in un buco, morirò: per un buco.
Sono nato piangendo mentre tutti ridevano e morirò ridendo quando tutti piangeranno.
Sorridi anche se il tuo sorriso è triste, perché più triste di un sorriso triste c'è la tristezza di non saper sorridere.
Talvolta mi piace vedere la storia del rock'n'roll come l'origine della tragedia greca. Immagino un gruppo di fedeli che danzavano e cantavano in piccoli spazi all'aperto. Poi un giorno dalla folla emerse una persona posseduta e cominciò a imitare un dio. (da Tempesta elettrica)
Ti potranno tagliare le ali, ma non potranno impedirti di volare.
Tra il reale e l'irreale c'è una porta: quella porta siamo noi.
Tu per me non sei niente, solo aria, ma ricorda: senza aria non si vive.
Tutti facciamo parte di una storia infinita.
Uccidere è il coraggio del momento, vivere è il coraggio di sempre.
Un giorno anche la guerra s'inchinerà al suono di una chitarra.
Un giorno ho preso una margherita ed ho fatto "m'ama o non m'ama"... la prima volta è venuto m'ama, allora mi ama, ma la seconda è venuto non m'ama, ma non mi sono preoccupato... anche le margherite possono mentire!
Un giorno piangevo perché non avevo le scarpe, poi vidi un uomo senza piedi e smisi di piangere.
Un giorno incontrai un bambino cieco...mi chiese di descrivergli il mare, io osservandolo glielo descrissi, poi mi chiese di descrivergli il mondo... io piangendo glielo inventai...
Vivere senza tentare, significa rimanere con il dubbio che ce l'avresti fatta.
Vivi intensamente ogni giorno della tua vita, perché ogni giorno che passa non tornerà mai più.
Vivi intensamente ogni piccola cosa della tua vita, perché un giorno, queste piccole cose, sembreranno grandissime.
Vivi ogni attimo e questo non sarà mai l'ultimo. Vivo per amarti, morirò se dovrò dimenticarti.
Vivi la vita attimo per attimo, come se fosse l'ultimo.
Vivi la vita così come puoi, perché come vuoi non puoi.
Vivo per amarti, morirò se dovrò dimenticarti.
Volevo attraversare i confini della realtà volevo vedere cosa sarebbe successo: solo curiosità!
Vorrei essere nato al contrario per capire questo mondo storto.
Vorrei essere una lacrima per nascere dai tuoi occhi, vivere sul tuo viso e morire sulla tua bocca.
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Jim Morrison - (Melbourne 1943 - Parigi 1971)
"Uomini, uomini del mio presente
non mi consola l'abitudine
a questa mia forzata solitudine,
io non pretendo il mondo intero
vorrei soltanto avere un luogo, un posto più sincero,
dove un bel giorno, magari molto presto,
io finalmente possa dire: questo è il mio posto.
Dove rinasca non so come e quando
il senso di uno sforzo collettivo per ritrovare il mondo."
(G. Gaber e S. Luporini - Canzone dell'appartenenza)
Mi sto rendendo conto che col passare del tempo e delle vicende della vita sta cambiando il modo con cui mi relaziono con le persone e con cui affronto la quotidianità. Se un tempo ero disposto a “passare sopra” ad un certo tipo di atteggiamento delle persone, a certe “paturnie”, ora no. L’esperienza della vita, il dover sempre e comunque affrontare difficoltà di vario genere e il trascorre la maggior parte del proprio tempo nell’ascoltare, comprendere e risolvere i problemi di tutti (trascurando il più delle volte le esigenze personali) inevitabilmente, prima o poi, ti cambia. Diventi via via sempre meno disposto ad accettare un certo tipo di pressapochismo, insofferente nei confronti del disinteresse e degli atteggiamenti menefreghisti o ipocriti.
E’ troppo facile, di fronte ad un problema o una difficoltà (di qualunque genere) “passare la palla” al primo che capita sotto tiro (di solito quasi sempre le medesime persone) e poi disinteressarsi completamente della cosa; non c’è ragione, non c’è scusa al disinteresse e tutto ciò non può in alcun modo definirsi collaborazione. C’è una motivazione di fondo ad ogni nostra attività o scelta che compiamo nella vita ed è la passione; è un mix di razionalità e sana follia che ci sprona a fare, a migliorarci ogni giorno un po’ di più, a sopportare spesso sacrifici e rinunce anche gravose perché un obiettivo o un risultato importante possa essere raggiunto. La passione, l’interesse verso ciò che si fa, unito alla determinazione, alla capacità di collaborare e ad un buon livello di senso di responsabilità sono qualità assolutamente necessarie per soddisfare il desiderio insito in ciascuno di realizzare un proprio progetto di vita.
Purtroppo mi sto rendendo conto sempre più spesso che questi principi non sempre sono condivisi e ben compresi da tutti. Troppo spesso a fronte di un problema comune mi sento dire come unica forma di collaborazione un ben servito “non mi interessa”, troppo di frequente nel momento del dialogo e del confronto (da sempre anticamera alla risoluzione dei problemi) mi trovo di fronte alla difficoltà del mancato ascolto, della tentata imposizione, dell’unica capacità di proporre altri problemi come soluzione .
No così non va e non può essere. Il dialogo prevede la capacità di sapere parlare, ma soprattutto di sapere ascoltare con serenità e con un pizzico di umiltà mettendo da parte ogni preconcetto, ogni costruzione mentale preventiva, ogni finto orgoglio che nasconde la paura del nuovo o dello sconosciuto. Il sapersi confrontare significa cogliere l’opportunità di crescere e migliorarsi insieme. Questo punto è tanto più importante quando l’obiettivo di fondo è condiviso (o dovrebbe essere condiviso) da un gruppo.
Non è possibile essere gruppo finchè non si dispone di questa base da cui partire e finchè si vive di preconcetti, di finti orgogli o malcelate paure. Se manca una motivazione al costante miglioramento (personale in primis) , l’interesse e una naturale curiosità in ciò che si fa tutto diviene più difficile. Degenerano immediatamente la qualità vita e dei rapporti; si perde la capacità di realizzare se stessi e le proprie inclinazioni riducendo la propria esistenza in un banale e inutile “tirare a campare” in una quotidiana e ordinaria sopravvivenza. Le motivazioni si perdono nel grigiore della routine, l’insoddisfazione monta e ogni giorno diventa una inutile quanto rischiosa lotta per la propria e personale sopravvivenza.
Certo, il sapersi aprire al nuovo, al confronto e all’esperienza comporta dei rischi: rompere il guscio protettivo (o scusa) della routine è una scelta che immediatamente richiede il sapersi mettere in gioco e la capacità di affrontare le difficoltà. Troppo facile criticare senza mai proporre o mettersi in gioco in prima persona; se la bolla della routine e dell’ordinaria amministrazione esplodesse in questo momento verrebbe meno il motivo del criticare e forse il paravento dietro a cui nascondersi, lasciandoci nudi di fronte alle nostre responsabilità.
Soffermiamoci ora su un altro concetto spesso abusato o travisato nel significato: il rispetto. Bene, vediamo di capire cos’è davvero questo valore. C’è un primo livello di base, dovuto a tutti e da pretendere da ciascuno, che ci proviene dalla nostra esperienza personale, dal nostro sentire, dalla nostra formazione e da quello che viene comunemente definito “nostro senso comune”. Il secondo livello, oggettivamente più difficile da ottenere, è quello che ogni giorno costruiamo col nostro agire e con la testimonianza quotidiana della nostra esistenza. Questo scaturisce naturalmente dal modo con cui ci relazioniamo agli altri, nel modo di porgerci e nel modo (più o meno responsabile) con cui si affrontano le vicende della vita. Il secondo livello del rispetto è naturalmente correlato col senso dell’appartenenza ad un gruppo di qualunque genere esso sia: famiglia, amicizie, lavoro, società civile: solo sviluppando una buona dose di comprensione, un buon livello di dialogo e dimostrando quotidianamente umiltà e collaborazione si può ottenere il rispetto e la necessaria confidenza che consente ad un rapporto umano di trasformarsi in qualcosa in più della semplice conoscenza. Purtroppo la vita non è mai sino in fondo come la si vorrebbe, e non è possibile evitare le situazioni di difficoltà e di dolore che prima o poi a turno toccano tutti; proprio in questi frangenti deve scaturire forte e naturale il rispetto, la collaborazione e il supporto ad ogni livello. Non esiste un rispetto o un’amicizia per l’ora dello svago e della spensieratezza e un diverso atteggiamento per il momento dei problemi. Non esistono scuse da accampare: piuttosto ammettiamo in sincerità e pacatezza la realtà delle cose che quanto sembrava non è nella realtà senza prese in giro.
Se si pretende rispetto lo si deve anche concedere, non solo in apparenza: quando si cerca il dialogo questo appello deve essere sempre accolto, mai troncato sul nascere. Chi cerca di dialogare ragionando o cercando di affrontare tematiche di interesse comune, dovrebbe essere quanto meno ascoltato. Chi sente di avere qualcosa da dire ha il sacrosanto diritto di avere propria voce in capitolo: troppo spesso si ritiene più giusto reprimere opinioni, punti di vista e suggerimenti per finte paure, per posizioni preconcette: è sempre meglio esporre e confrontarsi piuttosto che reprimere dentro di sé, sedimentando nel tempo pericolose insofferenze e reprimendo nella suddetta routine la propria personalità. Il significato stesso del dialogo è il primo mattone della convivenza sociale e di in gruppo in genere: dato un problema o un tema ciascuno di noi (se supportato da argomenti validi) è invitato ad argomentare pubblicamente una propria opinione, una proposta, una soluzione. Solo in questo modo è possibile la diffusione dell’informazione, il possibile dibattito e il necessario confronto tra le persone al fine di raggiungere un obiettivo comune. Naturalmente questo implica la capacità (purtroppo sempre più rara) di ascolto da parte degli altri : dalla pazienza dell’ascolto e della comprensione c’è sempre qualcosa di piccolo o grande da imparare, qualcosa di utile da apprendere per la propria formazione personale e da mettere da parte per futuri usi. Troppo comodo non ascoltare confidando che chi in quel momento sta parlando ci sia sempre, sempre disponibile, a ripetere allo sfinimento le stesse cose o peggio ancora presupponendo che ciò che si sta dicendo non sia di minimo interesse per se stessi o gli altri. Non è così che si crea partecipazione, non è così che si crea collaborazione, non è così che si da e si ottiene rispetto personale, non è così che si crea la propria libertà.
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La libertà
Giorgio Gaber
(1972)
Vorrei essere libero, libero come un uomo.
Vorrei essere libero come un uomo.
Come un uomo appena nato che ha di fronte solamente la natura
e cammina dentro un bosco con la gioia di inseguire un’avventura,
sempre libero e vitale, fa l’amore come fosse un animale,
incosciente come un uomo compiaciuto della propria libertà.
La libertà non è star sopra un albero,
non è neanche il volo di un moscone,
la libertà non è uno spazio libero,
libertà è partecipazione.
Vorrei essere libero, libero come un uomo.
Come un uomo che ha bisogno di spaziare con la propria fantasia
e che trova questo spazio solamente nella sua democrazia,
che ha il diritto di votare e che passa la sua vita a delegare
e nel farsi comandare ha trovato la sua nuova libertà.
La libertà non è star sopra un albero,
non è neanche avere un’opinione,
la libertà non è uno spazio libero,
libertà è partecipazione.
La libertà non è star sopra un albero,
non è neanche il volo di un moscone,
la libertà non è uno spazio libero,
libertà è partecipazione.
Vorrei essere libero, libero come un uomo.
Come l’uomo più evoluto che si innalza con la propria intelligenza
e che sfida la natura con la forza incontrastata della scienza,
con addosso l’entusiasmo di spaziare senza limiti nel cosmo
e convinto che la forza del pensiero sia la sola libertà.
La libertà non è star sopra un albero,
non è neanche un gesto o un’invenzione,
la libertà non è uno spazio libero,
libertà è partecipazione.
La libertà non è star sopra un albero,
non è neanche il volo di un moscone,
la libertà non è uno spazio libero,
libertà è partecipazione.
Da "Dialogo tra un impegnato e un non so"
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Per fortuna non siamo tutti uguali e le eccezioni esistono. Eccome se esistono, me le tengo strette coi denti e ringrazio il destino che me le ha fatte incontrare nel percorso della vita.
Ehilà Beppe!!
I lettori poco ferrati in materia “lupestre” si chiederanno la ragione dei titolo, i frequentatori abituali o occasionali delle vicende della Fattoria MacKenzie avranno sicuramente riconosciuto il tipico saluto rivolto da Enrico La Talpa al protagonista di questo post: Lupo Alberto. Riprendiamo il discorso dei “fumetti alternativi” soffermandoci questa volta sulla più famosa ed importante creazione di Guido “Silver” Silvestri. Il lupastro blu mio omonimo nasce nel febbraio 1974 e fa il suo debutto in società sulle pagine del “Corriere dei Ragazzi” in formato di strisce periodiche; dieci anni dopo apparizioni nascono i primi albi mensili dedicati al personaggio e in formati più o meno simili sono tutt’ora pubblicati e presenti nelle edicole.
Dopo questa breve introduzione addentriamoci nel microcosmo di Lupo Alberto e dei personaggi delle sue storie. Sfigato, anarchico, pigro, perennemente disoccupato e affamato il nostro Lupo vive nel bosco sulla collina che sovrasta la Fattoria MacKenzie in un piccolo angolo tra gli alberi arredato di con materiale di fortuna (uno scalcinato comò, una bagnarola per le esigenze personali …) e collegato al resto del mondo con un preistorico telefono “old style” attaccato ad un tronco. Laggiù. a valle del bosco, c’è invece tutto il mondo dove si svolgono le avventure del nostro protagonista ovvero i fienili e le casette che costituiscono la fattoria (che potremmo definire citando Orwell “degli animali”) McKenzie.
C’è Mosè, cane da guardia grande, grosso e bonario finchè qualcuno (Alberto) non gli fa girare i “santissimi”. C’è Marta la gallina svampita e casalinga fidanzata di Alberto, da sempre alla ricerca del metodo per incastrare il suo sfuggente lupastro nella rete del matrimonio.
Accanto a questo terzetto di base ruotano via via personaggi, dapprima di contorno e poi col passare degli anni e delle strisce sempre più definiti: Alcide il maiale, il più colto e sensibile della fattoria, il papero Glicerina (tonto ma simpatico nipote di uno “papero come lui” che lavora nei cartoni animati in America). Alfredo il tacchino eclettico che sparisce sempre dalla fattoria durante le feste di Natale, quando teme di partecipare al cenone in veste di portata. Alice, la gallina chiatta e inquartata migliore amica di Marta, sempre alla prese con problemi d'amore e di linea. Alice è una femminista della prima ora, sempre critica verso gli uomini... forse perché non riesce ad averne uno per sé e forse perché riesce ad imbastire improbabili fidanzamenti “lampo” con personaggio diametralmente opposti a lei. Alice ha la particolarità di andare in "fregola sessuale" ogni primavera e per questo insidia oscenamente tutti i maschi (Odoardo, Mosè, Alberto, Enrico, Il Dottore, etc.) che le capitano a tiro senza mai riuscire a "concludere". Ludovico il cavallo, sogna di vincere il derby di trotto. Krug il toro, irascibile e violento, non parla grugnisce. È l'unico che, data la sua stazza, non riceve punizioni o rimproveri da parte di Mosè, che lo teme. Omar il gallo, paradossalmente attanagliato da terribili sensi di colpa perché col suo "chicchiricchi" mattutino, sveglia gli abitanti della fattoria (vita dura quella del gallo…) .
Un paragrafo a parte invece è da dedicare ad Enrico La Talpa, nato come personaggio di contono e via via devenuto comprimario di moltissime strisce e gag con Lupo Alberto. Enrico è l’esatto opposto di Alberto: un individuo meschino, avido, pervertito, che gira attorno alla giovane passera Silvietta, una passera scopaiola ignorando la moglie Cesira (definibile come una tipica pettegola e popolana “desperate housewife” all’italiana).
Enrico, talpa di nome e di fatto, data la vista precaria fin dalle primissime strisce ha scambiato Alberto per il suo amico Beppe (memorabile il saluto “Ehilà Beppe !!” rivolto costantemente e ostinatamente ad Alberto), è sempre pieno di idee per raggirare gli ingenui abitanti della fattoria per spillare qualche guadagno, soprattutto in veste di "astrologo-cartomante". La figura di Enrico ha assunto negli anni una dimensione indepiendente, riuscendo così a dare vita a storie da protagonista; Enrico in coppia con moglie Cesira inscena spesso quadretti casalinghi sulla falsariga di Casa Vianello.
Enrico è la rappresentazione dell'uomo medio di mezza età: impiegato, prossimo alla pensione ma ancora con ridicole velleità da "giovanotto": la voglia della "scappatella", gli amici al biliardo, l'odio (ricambiato) per la suocera, le frustrazioni dell'ufficio, il desiderio di una carriera ormai impossibile.
Enrico spesso travolge il malcapitato Alberto in assurde macchinazioni che si concludono quasi immancabilmente in disastri. Spesso riversa su Alberto le proprie frustrazioni, agevolandolo o addirittura convincendolo a fare delle cose che lui non può più fare, a causa dell'età o della moglie.
Ed infine Silvietta, La Passera Scopaiola (ogni doppio senso è ovviamente voluto dal buon Silver). Rappresenta una adolescente studiosa modello, vittima delle avances sentimental-sessuali di quel “maiale” di Enrico, che viene puntualmente stroncato con salaci commenti.
Le strisce di Lupo Alberto non sono solo materiale per giovani: nelle storie e negli atteggiamenti dei personaggi ricorrono frequentemente tematiche sociale e spesso è riscontrabile una satira politica evidente. Emblematica è la contrapposizione tra Alberto ed Enrico. Il primo rappresenta il classico giovane idealista, un po' anarchico e ribelle, mentre il secondo è lo stereotipo del politico che promette grandi cose, avido di potere e denaro, decisamente contro ogni tendenza giovanile.
Precario e disoccupato, ingenuo e sognatore, disilluso e incapace di impegnarsi per la vita, Alberto è la perfetta rappresentazione un ragazzo trent’enne di oggi e nelle sue storie facilmente i suoi coetanei (come il sottoscritto…) si ritrovano e si riscoprono.
Enrico la Talpa viceversa è una macchietta dell’omuncolo di mezza età: impiegato scazzato, represso nelle voglie; rozzo e profittatore che non si fa troppi scrupoli nel prendersi gioco del prossimo.
Non ritengo del tutto fuori luogo l’interpretazione recente secondo la quale Enrico la Talpa viene rappresentato con atteggiamenti, modi di dire, e addirittura sembianze fisiche tipici di Silvio Berlusconi.
In una delle sue tante vicende, Enrico fonda un movimento, volto a raddrizzare i decadenti costumi della società italiana degli anni '70. Il nome del movimento e': "Bravi Ragazzi", BR. Il simbolo scelto ad identificare il movimento dei "BR" è una stella rossa a 5 punte. Enrico e Alberto si recano in città a presentare il loro movimento ma vengono accolti da gente terrorizzata che scappando, gli lancia portafogli ed altri oggetti di valore pur di avere salva la vita. Evidentissimo il riferimento alle "vere" BR, cioè le Brigate Rosse.
Guido "Silver" Silvestri
Lupo Alberto di Silver (caso emblematico di identificazione di un disegnatore nel proprio personaggio) è per questi motivi e per tanti altri il caso di un fumetto tipicamente “italiano” : ovvero un racconto dei vizi e delle virtù tipiche del nostro paese. Nonostante non venga mai dato un contesto geografico alla contea dove sono ambientate le storie del Lupo, è evidente che il piccolo mondo della Fattoria non è nient’altro che lo specchio della nostra società e dell’Italia in generale.
La fattoria dei Mackenzie è una fattoria di animali in cui l'uomo non si vede mai come nei Peanuts non si vedono mai gli adulti. A differenza dei bambini di Charles Schultz, in questo caso sono animali di Silver che si sobbarcano la responsabilità di rappresentarci, di mettere a nudo pregi e meschinità umane.
Le avventure del Lupo Alberto contengono un po’ di tutto come nella vita reale: sentimenti, politica, critica sociale e di costume, problemi sociali e personali, diritti civili. Il tutto trattato con uno stile irresistibilmente comico, satirico e irriverente.
Così ,di storia in storia, Lupo Alberto è cresciuto acquisendo autorevolezza (come non ricordare il suo faccione in mille campagne sociali di lotta all’AIDS) e unanime simpatia tra i ragazzi della sua età e tra le generazioni più giovani: per i primi il “lupastro” non è altro che un coetaneo in cui rispecchiarsi, per gli altri il tipico fratello maggiore “già scafato” che insegna attraverso le sue esperienze di vita.