"Uomini, uomini del mio presente
non mi consola l'abitudine
a questa mia forzata solitudine,
io non pretendo il mondo intero
vorrei soltanto avere un luogo, un posto più sincero,
dove un bel giorno, magari molto presto,
io finalmente possa dire: questo è il mio posto.
Dove rinasca non so come e quando
il senso di uno sforzo collettivo per ritrovare il mondo."
(G. Gaber e S. Luporini - Canzone dell'appartenenza)
Mi sto rendendo conto che col passare del tempo e delle vicende della vita sta cambiando il modo con cui mi relaziono con le persone e con cui affronto la quotidianità. Se un tempo ero disposto a “passare sopra” ad un certo tipo di atteggiamento delle persone, a certe “paturnie”, ora no. L’esperienza della vita, il dover sempre e comunque affrontare difficoltà di vario genere e il trascorre la maggior parte del proprio tempo nell’ascoltare, comprendere e risolvere i problemi di tutti (trascurando il più delle volte le esigenze personali) inevitabilmente, prima o poi, ti cambia. Diventi via via sempre meno disposto ad accettare un certo tipo di pressapochismo, insofferente nei confronti del disinteresse e degli atteggiamenti menefreghisti o ipocriti.
E’ troppo facile, di fronte ad un problema o una difficoltà (di qualunque genere) “passare la palla” al primo che capita sotto tiro (di solito quasi sempre le medesime persone) e poi disinteressarsi completamente della cosa; non c’è ragione, non c’è scusa al disinteresse e tutto ciò non può in alcun modo definirsi collaborazione. C’è una motivazione di fondo ad ogni nostra attività o scelta che compiamo nella vita ed è la passione; è un mix di razionalità e sana follia che ci sprona a fare, a migliorarci ogni giorno un po’ di più, a sopportare spesso sacrifici e rinunce anche gravose perché un obiettivo o un risultato importante possa essere raggiunto. La passione, l’interesse verso ciò che si fa, unito alla determinazione, alla capacità di collaborare e ad un buon livello di senso di responsabilità sono qualità assolutamente necessarie per soddisfare il desiderio insito in ciascuno di realizzare un proprio progetto di vita.
Purtroppo mi sto rendendo conto sempre più spesso che questi principi non sempre sono condivisi e ben compresi da tutti. Troppo spesso a fronte di un problema comune mi sento dire come unica forma di collaborazione un ben servito “non mi interessa”, troppo di frequente nel momento del dialogo e del confronto (da sempre anticamera alla risoluzione dei problemi) mi trovo di fronte alla difficoltà del mancato ascolto, della tentata imposizione, dell’unica capacità di proporre altri problemi come soluzione .
No così non va e non può essere. Il dialogo prevede la capacità di sapere parlare, ma soprattutto di sapere ascoltare con serenità e con un pizzico di umiltà mettendo da parte ogni preconcetto, ogni costruzione mentale preventiva, ogni finto orgoglio che nasconde la paura del nuovo o dello sconosciuto. Il sapersi confrontare significa cogliere l’opportunità di crescere e migliorarsi insieme. Questo punto è tanto più importante quando l’obiettivo di fondo è condiviso (o dovrebbe essere condiviso) da un gruppo.
Non è possibile essere gruppo finchè non si dispone di questa base da cui partire e finchè si vive di preconcetti, di finti orgogli o malcelate paure. Se manca una motivazione al costante miglioramento (personale in primis) , l’interesse e una naturale curiosità in ciò che si fa tutto diviene più difficile. Degenerano immediatamente la qualità vita e dei rapporti; si perde la capacità di realizzare se stessi e le proprie inclinazioni riducendo la propria esistenza in un banale e inutile “tirare a campare” in una quotidiana e ordinaria sopravvivenza. Le motivazioni si perdono nel grigiore della routine, l’insoddisfazione monta e ogni giorno diventa una inutile quanto rischiosa lotta per la propria e personale sopravvivenza.
Certo, il sapersi aprire al nuovo, al confronto e all’esperienza comporta dei rischi: rompere il guscio protettivo (o scusa) della routine è una scelta che immediatamente richiede il sapersi mettere in gioco e la capacità di affrontare le difficoltà. Troppo facile criticare senza mai proporre o mettersi in gioco in prima persona; se la bolla della routine e dell’ordinaria amministrazione esplodesse in questo momento verrebbe meno il motivo del criticare e forse il paravento dietro a cui nascondersi, lasciandoci nudi di fronte alle nostre responsabilità.
Soffermiamoci ora su un altro concetto spesso abusato o travisato nel significato: il rispetto. Bene, vediamo di capire cos’è davvero questo valore. C’è un primo livello di base, dovuto a tutti e da pretendere da ciascuno, che ci proviene dalla nostra esperienza personale, dal nostro sentire, dalla nostra formazione e da quello che viene comunemente definito “nostro senso comune”. Il secondo livello, oggettivamente più difficile da ottenere, è quello che ogni giorno costruiamo col nostro agire e con la testimonianza quotidiana della nostra esistenza. Questo scaturisce naturalmente dal modo con cui ci relazioniamo agli altri, nel modo di porgerci e nel modo (più o meno responsabile) con cui si affrontano le vicende della vita. Il secondo livello del rispetto è naturalmente correlato col senso dell’appartenenza ad un gruppo di qualunque genere esso sia: famiglia, amicizie, lavoro, società civile: solo sviluppando una buona dose di comprensione, un buon livello di dialogo e dimostrando quotidianamente umiltà e collaborazione si può ottenere il rispetto e la necessaria confidenza che consente ad un rapporto umano di trasformarsi in qualcosa in più della semplice conoscenza. Purtroppo la vita non è mai sino in fondo come la si vorrebbe, e non è possibile evitare le situazioni di difficoltà e di dolore che prima o poi a turno toccano tutti; proprio in questi frangenti deve scaturire forte e naturale il rispetto, la collaborazione e il supporto ad ogni livello. Non esiste un rispetto o un’amicizia per l’ora dello svago e della spensieratezza e un diverso atteggiamento per il momento dei problemi. Non esistono scuse da accampare: piuttosto ammettiamo in sincerità e pacatezza la realtà delle cose che quanto sembrava non è nella realtà senza prese in giro.
Se si pretende rispetto lo si deve anche concedere, non solo in apparenza: quando si cerca il dialogo questo appello deve essere sempre accolto, mai troncato sul nascere. Chi cerca di dialogare ragionando o cercando di affrontare tematiche di interesse comune, dovrebbe essere quanto meno ascoltato. Chi sente di avere qualcosa da dire ha il sacrosanto diritto di avere propria voce in capitolo: troppo spesso si ritiene più giusto reprimere opinioni, punti di vista e suggerimenti per finte paure, per posizioni preconcette: è sempre meglio esporre e confrontarsi piuttosto che reprimere dentro di sé, sedimentando nel tempo pericolose insofferenze e reprimendo nella suddetta routine la propria personalità. Il significato stesso del dialogo è il primo mattone della convivenza sociale e di in gruppo in genere: dato un problema o un tema ciascuno di noi (se supportato da argomenti validi) è invitato ad argomentare pubblicamente una propria opinione, una proposta, una soluzione. Solo in questo modo è possibile la diffusione dell’informazione, il possibile dibattito e il necessario confronto tra le persone al fine di raggiungere un obiettivo comune. Naturalmente questo implica la capacità (purtroppo sempre più rara) di ascolto da parte degli altri : dalla pazienza dell’ascolto e della comprensione c’è sempre qualcosa di piccolo o grande da imparare, qualcosa di utile da apprendere per la propria formazione personale e da mettere da parte per futuri usi. Troppo comodo non ascoltare confidando che chi in quel momento sta parlando ci sia sempre, sempre disponibile, a ripetere allo sfinimento le stesse cose o peggio ancora presupponendo che ciò che si sta dicendo non sia di minimo interesse per se stessi o gli altri. Non è così che si crea partecipazione, non è così che si crea collaborazione, non è così che si da e si ottiene rispetto personale, non è così che si crea la propria libertà.
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La libertà
Giorgio Gaber
(1972)
Vorrei essere libero, libero come un uomo.
Vorrei essere libero come un uomo.
Come un uomo appena nato che ha di fronte solamente la natura
e cammina dentro un bosco con la gioia di inseguire un’avventura,
sempre libero e vitale, fa l’amore come fosse un animale,
incosciente come un uomo compiaciuto della propria libertà.
La libertà non è star sopra un albero,
non è neanche il volo di un moscone,
la libertà non è uno spazio libero,
libertà è partecipazione.
Vorrei essere libero, libero come un uomo.
Come un uomo che ha bisogno di spaziare con la propria fantasia
e che trova questo spazio solamente nella sua democrazia,
che ha il diritto di votare e che passa la sua vita a delegare
e nel farsi comandare ha trovato la sua nuova libertà.
La libertà non è star sopra un albero,
non è neanche avere un’opinione,
la libertà non è uno spazio libero,
libertà è partecipazione.
La libertà non è star sopra un albero,
non è neanche il volo di un moscone,
la libertà non è uno spazio libero,
libertà è partecipazione.
Vorrei essere libero, libero come un uomo.
Come l’uomo più evoluto che si innalza con la propria intelligenza
e che sfida la natura con la forza incontrastata della scienza,
con addosso l’entusiasmo di spaziare senza limiti nel cosmo
e convinto che la forza del pensiero sia la sola libertà.
La libertà non è star sopra un albero,
non è neanche un gesto o un’invenzione,
la libertà non è uno spazio libero,
libertà è partecipazione.
La libertà non è star sopra un albero,
non è neanche il volo di un moscone,
la libertà non è uno spazio libero,
libertà è partecipazione.
Da "Dialogo tra un impegnato e un non so"
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Per fortuna non siamo tutti uguali e le eccezioni esistono. Eccome se esistono, me le tengo strette coi denti e ringrazio il destino che me le ha fatte incontrare nel percorso della vita.