Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
E' bastato un banale black-out elettrico in un condominio e il web italiano si è oscurato. E' successo lunedi 5 maggio scorso nel pomeriggio, intorno alle 17,30 quando la rete Internet e molti siti di importanti quotidiani, società di servizi o commerciali e istituzioni si sono improvvisamente oscurati. Per più di un'ora. Forse non tutti sanno che in Italia internet ha uno snodo vitale (non ridondato) in una sala di 400 metri quadrati situata a Milano in via Caldera, protetta da guardie, sistemi di sicurezza e porte blindate. E' il "Milano Internet Exchange" per gli amici "MIX". In questo locale sono ospitati i router delle compagnie che forniscono connettività e servizi internet in tutta Italia (i cosidetti "ISP" - Internet Service Providers e i "Carriers" ovvero i providers di delle infrastrutture di trasporto dei dati). Nel MIX troviamo macchine collegate fra loro capaci di veicolare il 60% di tutti i dati che ogni giorno vengono scambiati in rete in Italia e facendo punto di contatto tra le sottoreti dei vari ISP e Carriers italiani. Se il MIX è attivo, la rete italiana vive. Se il MIX si ferma, il Paese si ritrova "zoppo" privato del principale snodo internet (al momento in Italia sono attivi altre tre strutture di tipo MIX, Torino, Roma e Firenze, ma sommate assieme non sono in grado di supportare nemmeno la metà del traffico veicolato dal centro di Milano). Per 62 minuti MIX, lunedi scorso, è andato fuori linea provocando disagi a milioni di utenti del web. E-mail ritardate, lentezza nell'apertura delle risorse web e i siti come quello del Corriere della Sera o del Sole 24 Ore, completamente oscurati. Motivo di tutto ciò? Un semplice black-out in un condominio, alla periferia Ovest di Milano. Probabilmente il corto circuito nell'impianto di un ascensore. Il guasto - avvenuto in uno stabile adiacente al MIX - si è «riverberato» sull'impianto elettrico della "farm" del web italiano. Una centralina che assicura l'energia elettrica all'edificio è andata in sovraccarico a causa del "riverbero" e ciò ha determinato un principio di incendio al gruppo di continuità a cui è connesso il MIX. Sono partite automaticamente le procedure di spegnimento automatico delle macchine e dei server mentre pare che il generatore diesel a supporto non sia comunque riuscito ad alimentare il sistema sopperendo al guasto. Così il MIX si è bloccato dalle 17.28 alle 18.30. Alcuni siti riportano anche la notizia che il "corto" all'ascensore sia stato causato da un intervento maldestro di alcuni tecnici elettricisti. In ogni caso già nei giorni precedenti alcuni cali di tensione avevano messo a dura prova l´intero distretto di via Caldera, un "indotto" dove hanno uffici le grandi aziende che operano in Internet in Italia, fra cui Google. Il MIX, come lo conosciamo oggi, è nato nel 1996 da un´idea del pioniere informatico Marco Negri. È partito da un presupposto semplice: è assurdo che un messaggio inviato da Milano per arrivare a Roma debba passare dagli Usa (non essendoci una struttura di smistamento Italiana). Così, con un pool di soci, ha creò l´embrione del primo MIX taliano, che negli anni è cresciuto fino a essere il colosso che è oggi, a cui sono collegati i 32 maggiori operatori italiani. E dove ogni giorno passano in media 194 milioni di MegaByte. Tutta questa storia mi ricorda da vicino quanto accaduto circa un mese fa in quel di MM a Milano e fa pensare che un po' tutto il mondo è paese nel bene e nel male inoltre ha messo sotto gli occhi di tutti la vulnerabilità della rete italiana al momento incentrata su un unico snodo cruciale senza forme di ridondanza efficaci. Per chi fosse interessato a conoscere di più il MIX italiano vi linko il sito ufficiale della struttura dove è possibile leggere il comunicato stampa ufficiale in merito all'evento e controllare in tempo reale il traffico passante sul MIX Ecco i dati giornalieri di stasera alle 22.20 circa (fonte http://www.mix-it.net/index_flash.htm) ...
Se fate fatica a leggere i dati nell'immagine (ho dovuto ridimensionarla) salvatela sul vostro pc... comunque son: - 24,370 Gb/s di punta massima nelle ultime 24 h, - una media di 19,295 Gb/s - un valore istantaneo di 22,822 Gb/s !!! Si naviga eh? Ah... segnalo infine l'interessante tool che viene usato da MIX per rilevare questi dati. E' freeware e si appoggia al protocollo di controllo SNMP attivo sui routers... E' il tool di Tobi Oetiker's MRTG - The Multi Router Traffic Grapher che trovate da scaricare per linux e windows sul sito linkato...
Segnalo con questo post un interessante progetto italiano relativo ad una distribuzione di Linux per sistemi server/pc e dispositivi embedded dedicata principalmente ai servizi LAN/WAN. Si tratta di ZEROSHELL http://www.zeroshell.net/ dell'italiano Fulvio Ricciardi, un progetto totalmente freeware, molto completo che consente di creare a bassissimo costo una macchina di classe router capace i gestire in completa autonomia i principali servizi di rete necessari in una rete locale; ecco le features della versione 1.0.0:
- Server RADIUS
- Captive Portal per il supporto del web login su reti wireless e wired.
- Gestione del QoS (Quality of Service) e traffic shaping per il controllo del traffico su reti congestionate.
- HTTP Proxy con antivirus open source ClamAV
- Supporto per la funzionalità di Wireless Access Point con Multi SSID utilizzando schede di rete WiFi basate sui chipset Atheros.
- VPN host-to-lan
- VPN lan-to-lan
- Router con route statiche e dinamiche
- Bridge 802.1d con protocollo Spanning Tree
- Firewall Packet Filter e Stateful Packet Inspection (SPI)
- Controllo mediante Firewall e Classificatore QoS del traffico di tipo File sharing P2P;
- NAT per utilizzare sulla LAN indirizzi di classi private mascherandoli sulla WAN con indirizzi pubblici;
- TCP/UDP port forwarding (PAT) per creare Virtual Server,
- Server DNS multizona
- Server DHCP multi subnet
- Virtual LAN applicabili sulle interfacce Ethernet, sulle VPN lan-to-lan,
- Client PPPoE per la connessione alla WAN tramite linee ADSL, DSL e cavo (richiede MODEM adeguato);
- Client DNS dinamico
- Server e client NTP (Network Time Protocol)
- Server syslog
- Autenticazione Kerberos 5
- Autorizzazione LDAP, NIS e RADIUS;
- Autorità di certificazione X.509 per l'emissione e la gestione di certificati elettronici;
- Integrazione tra sistemi Unix e domini Windows Active Directory
- Gestione completa via Web e/o console SSH
Il tutto caricato "live" via cd o device USB. Il sistema inoltre, se eseguito su un pc dotato di harddisk, consente l'accesso a normali dischi IDE e salva le proprie configurazioni un un db proprietario. Non servono grossi investimenti per l'hardware, basta un pc anche vecchiotto dotato di un paio di schede di rete e lettore cd o porte usb. Un buon metodo per dare nuova vita a sistemi ormai obsoleti per l'uso comune. Dal sito potete scaricare le iso di ZeroShell o le immagini per device usb. Il sito annuncia le prossime implementazioni del progetto:
- Server SMTP e IMAP
- Autenticazione tramite Smart Card con protocollo PKINIT
Si sente per il momento la mancanza di un demone SNMP per il controllo remoto del nostro sistema ZeroShell; ma l'autore promette di inserirlo nelle prossime versioni. Con questa funzione il sistema sarebbe davvero al top e diverrebbe un serio ed economico concorrente per i device dedicati (compresi i costosi router di fascia alta), infinitamente scalabile (trovatemi un router con le possibilità di personalizzazione di memoria, cpu e disco come quelle offerte da un pc vero e proprio...). A breve organizzerò un prova su strada di ZeroShell su Eolo e vi dirò le prime impressioni operative. E se proprio volete anche un case carino e un hw compatto su cui far girare ZeroShell potete sempre comprarvi uno di questi micropc a venduti a bassisimo costo (250 euro circa) dotati di 2-4 schede ethernet e lettore compact flash e porte USB su cui salvare OS e configurazione. Davvero un'ottima soluzione!
Carissimi e affezionati lettori è venuto, a poco più di un anno dall'apertura di questo blog, un momento storico: il primo post non a firma mia. Ebbene sì, lascio il posto a colui che considero un po' il mio fratellino (più piccolo solo per evidenti ragioni d'età): "siori e siore....rullo di tamburi" il Fede! ... E alla sua petotamarromotocicletta di color verde pistacchio (una Kawa Ninja 600). Come potrete apprezzare il ragazzo è completamente impallinato con le moto, e se passate da Arona e dintorni e venite sverniciati da un lampo verde ...ocio quello è il Fede! Va pian!!!!!!!! Scherzi a parte sono contento e orgoglioso di poter ospitare nelle pagine del mio blog il Fede, un amico vero... cavolo ... ma Jhonny (scritto rigorosamente sbagliato come faccio sempre io!!!) non ci si poteva re-incontrare prima!! E vabbè recupereremo
Di Fede (del 12/05/2008 @ 19:49:29, in Passions, linkato 1102 volte)
Rumori forti e indecifrabili, velocità smodata, strane luci, parvenza di fiammate... ufo? no, la ninja del fede!!!La passione per le moto c'è sempre stata...a partire dal provare i piccoli grizly,alla prima aprilia rx,poi cagiva mito....via via via...fino ad arrivare a pochi anni fa.La mia povera mito ormai era al massimo , l'estate si avvicinava e nei week iniziavano a esserci in giro i classici grupponi di moto supersportive.Guarda oggi, guarda domani e la voglia di cambiare aumentava...e cosi,rifatta la patente...via alla ricerca della nuova moto.Cosi girando girando ...eccola: verde pistacchio,nessun adesivo,non del tutto originale..cattiva cattiva...è mia..una bellissima Kawasaki ninja 600:motore da 599 cc raffreddato a liquido,4 tempi,4 valvole per cilindro,4 cilindri il linea trasversale,111 cv (l'originale),cambio a 6 marce,176 kg di peso.Fatto l'acquisto fuori Milano mi aspettava il ritorno a casa a Milano ed il giorno seguente ritorno al lago.Quindi primo avvio...breve giretto,poi una volta a Milano inizio i giretti un po' piu seri:primo passeggero la mia piccola kià,poi a super-sergio è toccato il giro in notturna(alla fast and furious).Il giorno seguente via in autostrada...La sensazione è stata subito bellissima....Arrivato al lago iniziarono cosi i primi giri,un po tamarri a dire la verità.Già perchè inizialmente giravo con lo scarico completamente aperto...suono spettacolare..ma erano troppi gli antifurti delle auto che suonavano...e quindi mi sono limitato a usare lo scarico ''originale''(un po vuoto???)...poi via con specchietti e frecce in carbonio,pedane e corona(verde) in ergal,coprisella posteriore in vetroresina,monoammortizzatore posteriore regolabile..e una targa leggermente piegata (ma poco poco eh)...queste e molte altre (piu interne) le modifiche della ninja, fino alle ultime apportate come l' aggiunta della scritta ninja....montaggio Pirelli Diablo (pieghe da paura) e le ultimissime strisce sui cerchioni che le danno quel tocco di tamarraggine in piu'.A breve in arrivo nuovo scarico semiaperto..cosi il sound sarà ancora piu' accattivante e gli scoppiettii devastanti....Ah dimenticavo...a breve tocca un giro al grande Albe.... Eccola (mancano solo le strisce) Qui in notturna con le strisce Ora un breve cenno di storia-ninja: La prima Kawasaki Ninja 600 (ZX-6R) è stata costruita nel 1995 ed è stata la prima moto supersportiva con un telaio in alluminio, un peso a secco di 182kg e capace di accelerare da 0 a 100 in 3,6 secondi. Nel 2002 la Kawa fa una mossa porta il motore da 599cc a 636cc pur continuando comunque a produrre il modello da 599cc. Da qui, il modello da 636cc viene chiamato ZX-6R e il modello da 599cc viene chiamato ZX-6RR.Nel 2003 un nuovo modello che porta con sé numerosi e profondi cambiamenti. L'iniezione elettronica è la maggior innovazione del motore (che si trasforma in un guadagno lieve di cavalli rispetto al modello precedente) assieme alle pinze dei freni ad attacco radiale con 4 pistoncini (al posto dei 6 del modello precedente) e il telaio (più rigido e più leggero). Inoltre la strumentazione del quadro strumenti diventa totalmente digitale e la presa d’aria viene spostata centralmente sopra le luci. Naturalmente anche questo modello è stato venduto nelle versioni 599cc (ZX-6RR) e 636cc (ZX-6R). Il modello 2004 per la versione da 636cc viene rivisto solo nei colori (la versione da 599cc veniva venduto solo nel colore verde con il telaio di colorazione nera), mentre il modello da 599cc viene cambiato nell'iniezione del motore, aggiungendo 4 iniettori secondari, in aggiunta ai 4 primari già presenti. Per il primo anno, la ZX-6R vince il Masterbike.I maggiori cambiamenti si notano nel design della moto (fanali più arrotondati, frecce anteriori integrate nella carena e scarico sottosella) ma anche il telaio (di colore nero) e il motore vengono migliorati (ampliando il regime massimo di 1000 giri/min e raggiungendo la potenza di 95.5kw/130cv a 14.000 giri/min per la ZX-6R). Il modello ZX-6RR si differenzia sempre per la cilindrata di 599cc e la potenza massima.Il modello 2006 per la versione da 636cc viene cambiato nella gamma dei colori disponibile.Dopo cinque anni di successo del motore 636 per il pubblico (e del motore da 599cc per la classe racing), Kawasaki interrompe la produzione del motore di cubatura maggiorata offrendo solo un motore da 599cc ed elimina la sigla ZX-6RR, ribattezzando questo modello come ZX-6R. Gli anni scorsi il motore aveva lo stesso design di base, ma quest'anno è stato totalmente ridisegnato dal carter in su. Il nuovo motore così raggiunge una compattezza unica (risultando di 40mm più piccolo sia in altezza che lunghezza), un regime di giri più elevato di 1000giri/min, una compressione maggiore. Il quadro strumenti viene ridisegnato (contagiri analogico sulla sinistra, contamarce digitale con sei rettangoli dal basso verso l’alto e il tachimetro digitale sulla destra). Totalmente nuovo anche il design assieme alle sospensioni completamente regolabili in compressione, estensione e precarico (il monoammortizzatore posteriore ha anche 2 regolazioni nel precarico per le alte e basse velocità). La potenza massima è calata di 5cv rispetto al modello precedente da 636cc. Un mega-ringraziamento al mitico Albert x lo spazio e a super-serg per il titolo
C'è un cane "immaginario" del mondo dei cartoni che penso sia ben impresso nella mente di tutti quelli della mia età o più o meno. Lasciam perdere ogni forma di buonismo ... vediamo se vi ricordate: piccolino, canini ben in vista, qualche volta bardato di occhialoni da aviatore e sciarpa e addirittura capace di "svulazzare"...capito? No? E se vi dicessi che è bastardissimo??? Dai che non potete averlo dimenticato...
E' Muttley il cane di Dick Dastardly e suo compagno di sventure nelle "Wacky Races" e plurimedagliato componente dello sfigatissimo "Squadrone Avvoltoi".... Due serie a cartoni mitiche di Hanna-Barbera dei primi anni settanta caratterizzate più o meno dallo stesso nucleo di base di protagonisti. Partiamo dalla più vecchia; le "Wacky Races" (1968) raccontano le corse pazze di undici strane automobili guidate da altrettanti strani ed insoliti piloti. Tra i tanti partecipanti di queste competizioni Dick Dastardly, concorrente sempre pronto alla furbata e alla scorrettezza pur di vincere, è la caricatura del cattivo eternamente perdente. A suo fianco nella vettura 00 il suo cane Muttley, opportunista, cinico e sadicamente sempre pronto a farsi una sana ghignata alle spalle del suo padrone e delle sue sventure... Accanto al duo principale i cavernicoli Fratelli Slag, Big&Little Gruesome (alla guida del Diabolico Coupè),lo scienziato pazzo Pat Pending, l'asso Red Max, la sventola Penelope Pitstop, il gruppo della macchina "Armata Speciale", la banda di Clyde, l'insetto scoppiettante di Luke, il fighetto Luke Perfect e il boscaiolo Rufus Ruffcut. Diciassette puntate,due corse per puntata: tutte da scassarsi dalle risate.... Introdotte da una sigla molto particolare, che contiene come "guest star" la voce di Ferruccio Amendola (n.d.r. il video seguente potrebbe andare a scatti, ma è l'unico sul tubo):
La seconda serie "Lo Squadrone avvoltoi" o "Dastardly and Muttley in Their Flying Machines" è del 1969 e nasce come spin off delle "Wacky Races". In questa serie Dastardly e Muttley sono alla guida di uno strampalato squadrone di aviatori che a bordo di assurdi aereoplani cercano di catturare il piccione viaggiatore Yankee Doodle, il postino volante del nemico. Alla carica sulle note della canzone "Stop the pigeon" ("Fermate il piccione!") , lo Squadrone Avvoltoi formato anche da Zilly (il timido, unico traduttore di Klunk) e Klunk (inventore delle strampalate macchine volanti che parla in un linguaggio incomprensibile...) si lancia in 34 avventure alla caccia di Yankee Doodle, fallendo sempre miseramente. In ogni episodio immancabilmente Dastardly precipita miseramente, in qualche caso salvato dalla coda rotante di Muttley che in cambio del salvataggio del padrone "batte cassa" chiedendo una doverosa medaglia per l'intervento... e quando il salvataggio non riesce Muttley si fa una ghignata e il suo padrone si schianta miseramente a terra, subendo anche gli insulti dell'oscuro Generale... Assurdo e geniale!
Le reti informatiche realizzate che sfruttano la tecnologia wi fi si stanno sempre più diffondendo e con esse si diffondono anche le tecniche per violarle. Il wardriving è l’insieme dei sistemi usati per l’attacco e intrusioni nelle reti Wireless (wi-fi). Il termine WarDriving proviene dalla vecchia tecnica di phone hacking o Phreaking chiamata wardialing che sta ad intendere la scansione continua di numeri telefonici per scoprire sistemi informatici e centralini non protetti . Per WarDriving si intende letteralmente Wonder and Driving .Si sente anche parlare di WarWalking ( wonder and walking ):come quindi si può facilmente capire il wardriving è la ricerca di reti wireless utilizzando l’automobile e il WarWalking è la ricerca di reti wireless camminando..(Ma perche non farlo comodamente da casa . ??)
Le reti wireless sono per natura più vulnerabili delle reti di computer che utilizzano i cavi. Infatti nel caso di una rete cablata è necessario un collegamento fisico di un computer via cavo, mentre per le reti wireless basta dotare il proprio computer di scheda wi-fi e antenna. Proprio a causa della semplice vulnerabilità delle reti wireless è bene premunirsi e proteggerle per quanto possibile. Per fare questo esistono vari modi ma io vi metto solo i principali: - WPA ( Wi-Fi Protected Access ) - WEP ( Wired Equivalent Privacy ) - MAC address control - Disabilitazione del DHCP - Cambio dell’SSID Tra questi ovviamente ci sono quelli piu o meno efficaci. Niente comunque si presume essere sicuro al 100%. In breve : Il WPA è un protocollo per la sicurezza delle reti senza filo Wi-Fi creato per tamponare i problemi di scarsa sicurezza del precedente protocollo di sicurezza, il WEP. WPA è progettato per gestire l'autenticazione dei client e dei server e la distribuzione di differenti chiavi per ogni utente. Una delle modifiche che introducono maggiore robustezza all'algoritmo è la definizione del Temporal Key Integrity Protocol (TKIP). Questo protocollo cambia dinamicamente la chiave in uso e questo combinato con il vettore di inizializzazione di dimensione doppia rispetto al WEP rende inefficaci i metodi di attacco utilizzati contro il WEP. Il WEP è, detto molto molto alla buona, simile al WPA ma usa chiavi di cifratura più corte. Per quanto riguarda il MAC address control si può dire che è abbastanza efficace . Dunque, ogni scheda di rete (wireless o meno) ha un proprio "numero di serie", che si chiama appunto MAC address. Gli access point possono essere impostati in modo da accettare connessioni soltanto dalle schede che hanno un certo MAC address. Questo rende molto difficile all'intruso penetrare nella rete, perché deve prima scoprire uno dei MAC address autorizzati. Non è impossibile, ma è una scocciatura che scoraggia buona parte degli aggressori. Pertanto conviene assolutamente attivare il controllo del MAC address. Il DHCP ( anche qui spiegato molto alla buona) è un sistema che semplifica la gestione di una rete assegnando automaticamente un indirizzo IP a ogni macchina che si collega alla rete. Questo è comodo in un ambiente cablato, ma è pericoloso in un ambiente wireless, perché assegnerebbe automaticamente un indirizzo IP anche a un intruso.Dovete anche tenere presente che, comunque, un intruso abbastanza furbo è in grado di aggirare questo ostacolo (gli basta indovinare il range di indirizzi IP che usate, tipicamente 192.168.0.*). Per quanto riguarda SSID (e poi passo alle cose un più interessanti ) la questione è che la rete wireless ha un suo identificativo (l’SSID) che le schede wireless devono conoscere per potervisi collegare. Anche il nostro simpatico intruso ha bisogno di conoscerlo per fare il suo sporco mestiere (lo str**o ). Il ‘’guaio’’ è che conoscerlo è facilissimo: nella maggior parte dei dispositivi wireless è impostato in fabbrica in modo da usare, come SSID, il nome del fabbricante e Siccome i fabbricanti non sono poi tanti, è banale per l'intruso tentarli uno per uno. Solitamente lo schema piu conosciuto e banale di attacco a una rete è il seguente - Access Point (AP) : è l’access point di cui vogliamo conoscere la chiave per riuscire ad entrare nella rete. - Target Client (TC) : è un client collegato all’access point. - Sniffing Client (SC) : è uno dei pc dell’attaccante. Questo si occuperà di sniffare quanto più traffico possibile. Questo traffico verrà registrato sull’hard disk (non tutto il contenuto dei pacchetti ma solo alcune informazioni come i IV). Svolge un ruolo passivo. - Attacking Client (AC) : è un client che si occuperà di “stimolare” il giusto traffico nella rete. Svolge un ruolo attivo. In realtà il WEP Cracking può essere fatto anche con un solo computer. Ma ora passiamo alle cose belle….Ci sono tanti modi per trovare le reti e non solo…. Infatti esistono molti programmi,quasi tutti free, per giocare con le reti (ovviamente in modo legale). Questi programmi sono a disposizione di tutti, non siete gli unici a poterli utilizzare, non sono nuovi e non sono per superesperti di computer. Preciso che entrare abusivamente in una rete senza autorizzazione è un reato punibile dalla legge, quindi provate solo sulla vostra rete per testarne la sicurezza, o magari fatevi fare una delibera per il test dal proprietario della rete. Ma veniamo al dunque….. NetStumbler è un semplicissimo tool che permette di trovare una rete WI-FI nelle vostre vicinanze. E’ in grado di Indicarvi il nome ESSID, la potenza del segnale espressa in db e se la rete è protetta da chiave WEP oppure WPA.( www.netstumbler.com )Se ora volete testare la vostra protezione WEP, in ambiente Windows,è importante e utile iniziare a cercare di individuare cosa passa sulla rete (e le informazioni sono tante anche se non sembra ).Un programma come Airodump vi permette di sniffare la rete e cioè di catturare i pacchetti durante la trasmissione.( www.cr0.net:8040/code/network/aircrack ). Una volta che avete fatto girare un po il programmino avrete un dump dei pacchetti su quella rete ma dobbiamo trovare il modo di analizzarli ed estrarne ciò che più ci interessa (la password ecc).
Con Aircrack potete torvare la chiave WEP o WPA dai pacchetti catturati con Airodump ( download.aircrack-ng.org/ ). Ora, per riuscire a cracckare la chiave wep Airodump dovrà catturare un certo numero di pacchetti (circa 2,000,000) per una una cifratura 128 bit. Se la rete è molto trafficata si può raggiungere questo numero in poco tempo, altrimenti si può usare qualche altro trucchetto per pompare un po il numero di pacchettini che girano nella rete ( un esempio è utilizzare Aireplay , tool di packet injection, che permette di far aumentare la trasmissione di pacchetti in modo che Airodump posso catturare più pacchetti possibili in poco tempo. Ad ogni pacchetto ricevuto da un echo dello stesso pacchetto più la richiesta di una spedizione aggiuntiva). Una volta raggiunto il numero di pacchetti desiderati apriremo Aircrack ed importiamo il file .cap creato con Airodump e troveremo la chiave di accesso.
Altri link che vi consiglio sono: www.tomshw.it/business.php?guide=20070804 per chi usa linux www.airtightnetworks.net/home/resources/knowledge-center/caffe-latte.html
La memoria del passato è essenziale per comprendere da dove veniamo, per interpretare il nostro presente e costruire il nostro futuro. Un paese che non è in grado di fare i conti con la propria storia , non ne riesce a spiegare gli eventi, e non riesce a fare tesoro delle esperienze del passato ricadrà prima o poi, in forme più o meno diverse, negli stessi errori. Quel paese vivrà in modo ipocrita chiudendo i propri “scheletri” e le proprie pagine da dimenticare in un armadio polveroso nella sempiterna speranza che nessuno o nulla prima o poi lo apra. Un paese che non è in grado di fare i conti con il proprio passato difficilmente potrà mai dirsi un paese adulto. La nostra bell' Italia di scheletri nell’armadio ne ha molti, così tanti che spesso se ne perde anche il ricordo; troppi tasselli della nostra storia recente che sono stati sottratti al pubblico dominio, alla pubblica comprensione impedendo al paese di comprendere le ragioni degli eventi e dei fatti. Le cause di questo oscuramento sono le deviazioni della normalità e delle ideologie, sono i “grigi” della repubblica che nascono dalle commistioni tra i diversi poteri (istituzionale, politico,economico) e le sacche di insoddisfazione sociale che, se trascurate, possono sfociare nella criminalità . Quest’anno ricorrono i trent’anni dall’evento che più emblematicamente rappresenta il culmine della cosiddetta “notte della repubblica”, ovvero dei due decenni della nostra storia contemporanea in cui si incrociarono e si mescolarono le stragi di Stato, i servizi segreti “deviati”, le tragiche parabole del terrorismo nero e rosso ; una cronologia pressoché infinita da Piazza Fontana fino alla stazione di Bologna e Ustica. Erano le 9 del mattino del 16 marzo del 1978, quando in via Mario Fani all'incrocio con via Stresa a Roma si compiva il primo passo del tragico rapimento del presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro. I brigatisti rossi spararono 91 proiettili contro i cinque uomini della scorta uccidendo in una vera e propria mattanza il maresciallo Oreste Leonardi, i brigadieri Domenico Ricci e Francesco Zizzi, gli agenti di polizia Giulio Rivera e Raffaele Iozzino. Dopo quel massacro, i dopo 55 giorni di prigionia e le numerose reticenze degli apparati dello stato e dopo le clamorose sviste delle istituzioni (su tutti l’eclatante errore sul nome di Gradoli), la mattina del 9 maggio 1978, il corpo crivellato di proiettili di Aldo Moro venne rinvenuto nel bagagliaio di un Renault 4 rossa parcheggiata in via Caetani. Le immagini del ritrovamento, del cavadere avvolto in un coperta e della folla assiepata attorno all’auto sono impresse nella memoria di ciascuno di noi. Quel momento segnò il culmine della strategia della tensione e dell’attacco portato dall’eversione al cuore di uno stato già malato e affaticato dalla lunga scia di sangue degli anni di piombo. L’enormità e la crudeltà di quel gesto furono un shock mai completamente riassorbito dal paese intero (molti ancor’oggi a tanti anni di distanza ricordano esattamente dove e come appresero quella notizia) e segnarono una prima ma irreversibile crepa nella solidità del movimento eversivo rosso. La sinistra extraparlamentare, i movimenti di Autonomia Operaia e Lotta Continua e alcuni movimenti sinistrorsi e sindacali definitivamente allontanarono il loro appoggio ai movimenti armati e per la prima volta criticarono in maniera aperta le BR, segnandone così il primo passo verso il lento declino e la dissoluzione degli anni ottanta. La morte di Moro si inserì in periodo di crisi della DC, e in una fase storica dove il PCI stava acquisendo nuovi consensi e stava preparando (proprio grazie alla stagione del compromesso storico aperta da Moro) l’ingresso nella maggioranza di governo; paradossalmente il rapimento e l’uccisione di Moro fruttarono alla DC il distacco dell’opinione elettorale dai partiti della sinistra e rappresentò la figura di un martire che diede forza e compattezza ad un partito in una fase traballante. Molti sono ancora i dubbi, i misteri e i lati tremendamente oscuri di questa vicenda: le reticenze degli apparati statali, i presunti rapporti tra frange deviate dei servizi segreti dello stato e i terroristi , la scoperta di strutture di controllo “parallele” (vedi Gladio) atte ufficialmente a proteggere l’Italia da una ipotetica invasione, ma di fatto sospettate di essere un ingranaggio della strategia della tensione di quegli anni finalizzata ad influenzare e dirigere la politica interna del paese. Il caso Moro è forse l’evento più emblematico di quel periodo duro e controverso della nostra storia recente: accadde dopo tanti e ne precedette altri ancor più drammatici (se consideriamo la brutale contabilità delle vittime) ma per l’importanza storica rappresenta un paradigma del tipico “mistero all’italiana”: a differenza di tanti altri in questo caso qualche nome degli esecutori è saltato fuori (su tutti quelli dei brigatisti Moretti e Maccari), ma mancano le risposte ai ritardi (perché per anni i memoriali di Moro furono dimenticati in un covo a Milano per poi giungere a noi solo incompleti?) , ai mancati ritrovamenti o alle superficialità (perché, pur essendo giunti un paio di volte le forze dell’ordine nei luoghi di prigionia dello statista, non furono fatti i dovuti e approfonditi accertamenti che avrebbero permesso di chiudere diversamente la vicenda?), i nomi degli effettivi “mandanti” sono solo quelli noti dei brigatisti rossi o sono vi sono ulteriori intrecci tra le aderenze degli apparati statali (ufficiali o segreti, deviati o no) e le organizzazioni di eversione di matrice estremista (nera o rossa)? Come dicevo all’inizio nessun paese può dirsi “maturo” e pronto al futuro se prima non fa i conti con il proprio passato e non riesce a sollevare il velo di omertà sui periodi e i fatti oscuri della propria storia. Sono troppi i misteri irrisolti, troppe le morti senza un colpevole e senza una ragione, troppe le commistioni – vere o presunte – che si intrecciano in queste vicende. L’Italia è stata sempre per sua natura un “ponte” tra le diverse culture che si affacciano sul Mediterraneo: occidente e oriente sono sempre convissuti sul nostro territorio, ma questa terra di frontiera per troppi anni (e ancor oggi) è stata oggetto di conquista, di infiltrazione , di commistione per interessi di ogni genere complice una politica troppo spesso collusa e compiacente. Sarebbe lungo fare la lista dei casi ancora oscuri del nostro paese e si correrebbe il rischio di essere incompleti: ciò che davvero conta a distanza di tanti anni dai fatti è la loro memoria collettiva (soprattutto nelle generazioni più giovani), la capacità di analisi e comprensione scevra da preconcetti. Solo così un popolo riesce a far i conti con il proprio passato, ne comprende gli errori e cerca di trovare le opportune contromisure per evitare di compierne ulteriori nel futuro. Fin tanto che non ci sarà questa maturità nel paese, finchè non crescerà nella classe politica e nei poteri dello stato una nuova consapevolezza che forzi le omertà e le collusioni avremo sempre la necessità di rinfrescarci la memoria di tutto quanto ancora in Italia è irrisolto, segreto o incomprensibile sfogliando i nostri, drammatici album di stato… vi avverto: alcune immagini sono abbastanza crude (prima ancora che venisse la privacy e simili i media non andavano molto per il sottile...), ma questa è la nostra storia.
Chiunque abbia abbia mai ascoltato i BonJovi penso ricordi le intro di due canzoni molto famose del gruppo - "Livin' on a prayer" del 1986 e "It's my life" del 2000 - caratterizzate da effetti di distorsione del suono e della voce abbastanza singolari. Vi siete mai per caso chiesti come questi fossero stati realizzati? Probabilmente no, e se forse anche lo avete fatto probabilmente avrete cercato la risposta in qualche diavoleria elettronica o in un effetto di post-produzione. Invece no, dietro a quei suoni non c'è nulla di elettronico o digitale, semplicemente una forma particolare di indirizzamento e amplificazione del suono proveniente da uno strumento musicale (nella fattispecie la chitarra elettrica di Ritchie Sambora) ottenuto mediante una piccola scatoletta spesso posta vicino ai piedi dell' artista. Si tratta di un aggeggio tecnicamente definito "talk box" , un effetto a pedale utilizzato in prevalenza in abbinamento a chitarre elettriche e tastiere, che interposto tra lo strumento e l'amplificatore consente di modificarne il suono attraverso i cambiamenti della forma della bocca. Dalla scatoletta, dove entra ed esce il segnale della chitarra, esce anche un piccolo tubicino la cui terminazione, dotata di piccoli sensori sonori, normalmente viene posta sull'asta del microfono del cantante; strimpellando lo strumento e contemporanemente aprendo e modificando l' apertura della bocca, il contenuto armonico del suono risultante viene modificato e si ottiene una sorta di imitazione della voce umana (un po' come se questa fosse distorta dinamicamente). Questo singolare effetto che permette allo strumento di "parlare" (da lì il nome di "talk box") è stato utilizzato da vari strumentisti di gruppi famosi della scena del rock: David Gilmour (Pink Floyd), Slash (Guns), Jerry Cantrell (Alice in Chains), Matthias Jabs (Scorpions), Peter Frampton (primo compagno di band di David Bowie) e naturalmente Richie Sambora (BonJovi). Dopo questa curiosità a voi i Bon Jovi con "It's my life"... vi chiedete il perchè della scelta di questa canzone? Direi che la sento molto vicina al mio modo di sentire e vivere le cose in questo periodo: ... it's just my life and I have to live it every day in the better way it' s possible..... don't waste time and do it now or newer!
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Bon JoviIt's my life (Crush, 2000)
This ain't a song for the broken-hearted No silent prayer for the faith-departed I ain't gonna be just a face in the crowd You're gonna hear my voice When I shout it out loud It's my life It's now or never I ain't gonna live forever I just want to live while I'm alive (It's my life) My heart is like an open highway Like Frankie said I did it my way I just wanna live while I'm alive It's my life This is for the ones who stood their ground For Tommy and Gina who never backed down Tomorrow's getting harder make no mistake Luck ain't even lucky Got to make your own breaks It's my life And it's now or never I ain't gonna live forever I just want to live while I'm alive (It's my life) My heart is like an open highway Like Frankie said I did it my way I just want to live while I'm alive 'Cause it's my life Better stand tall when they're calling you out Don't bend, don't break, hell, don't back down It's my life And it's now or never 'Cause I ain't gonna live forever I just want to live while I'm alive (It's my life) My heart is like an open highway Like Frankie said I did it my way I just want to live while I'm alive It's my life And it's now or never 'Cause I ain't gonna live forever I just want to live while I'm alive (It's my life) My heart is like an open highway Like Frankie said I did it my way I just want to live while I'm alive 'Cause it's my life ______________________
Oltre alla versione rock "classica", di questa canzone esiste una interessante variante lenta e "unplugged" (voce, chitarra acustica e piano), ovviamente qui non c'è il talk box... eccone di seguito il video tratto da un recente concerto avvenuto ad Atlantic City. E' proprio vero, come dice Vasco, il rock è multiforme: a volte è un urlo ribelle, a volte una travolgente ballata, a volte una dolce melodia; è una forma di musica capace di adattarsi sempre nel modo migliore a tutti gli stati emotivi e alle situazioni della vita...
Ah.. dimenticavo: se volete sentire il talk box in azione della versione originale cliccate su questo link ... altrimenti qui trovate il riff classico di "Livin' on a prayer" ... date un occhio e prestate un orecchio altrimenti per che cavolo ho fatto la sbrodolata iniziale??
Il jet di servizio partito dall'aeroporto di Roma-Ciampino atterra a Palermo-Punta Raisi intorno alle 16:45 dopo un viaggio tranquillo di circa 50 minuti. Allo sbarco, sotto la scaletta, aspettano le tre autovetture della scorta della squadra mobile della Polizia di Stato, pronte ad una partenza veloce.
Giovanni Falcone si sistema al posto di guida della Fiat Croma bianca, accanto a lui la moglie Francesca Morvillo. Sulle una delle altre due vetture di scorta ci sono Vito Schifani alla guida, l'agente scelto Antonio Montinaro e l’agente Rocco Di Cillo; sulla terza vettura prendono posto Paolo Capuzzo, Gaspare Cervello e Angelo Corbo. Le auto escono dai cancelli dell’aeroporto in sequenza: prima la Croma marrone di Schifani, poi la Croma bianca guidata da Falcone, e in coda la Croma azzurra di Capuzzo.
Le auto imboccano l'autostrada in direzione Palermo. E’ sera, la situazione è tranquilla, non c’è traffico e le auto procedono a velocità moderata senza l’uso delle sirene. Da una strada parallela, una macchina si affianca e controlla gli spostamenti delle tre Croma blindate, e ne dà segnalazione via radio ad una persona posizionata strategicamente sulle colline prospicienti il litorale; ancora pochi minuti, poi la Sicilia e l’Italia intera non saranno più le stesse.
Ore 17:58, il corteo di auto raggiunge il quinto chilometro della A29. Siamo nei pressi dello svincolo di Capaci-Isola delle Femmine. D’improvviso quella apparente tranquillità è rotta da un boato; l’asfalto si spacca e e si solleva con violenza alzando in cielo una colonna immensa di detriti e rottami metallici. La deflagrazione scaraventa gli occupanti delle le tre auto in un vortice di terra da cui verranno prima uccisi e poi letteralmente sepolti. Una carica di cinque quintali di tritolo, posizionata in un tunnel scavato sotto la sede autostradale, è stata appena azionata con un telecomando da Giovanni Brusca, il sicario incaricato da Totò Riina della morte di Giovanni Falcone. E’ lui la persona che scrutava la scena dalle colline del litorale.
Un’immane e surreale voragine trova posto sulla strada dove è esplosa la carica di tritolo. Tutt' intorno un paesaggio quasi lunare. A richiamare alla realtà sono solo le sagome delle tre auto che a malapena riescono ad essere scorte sotto la montagna di macerie. Giovanni Falcone muore alle 19.05 del 23 maggio del 1992 nell’estremo tentativo di un trasferimento all’ospedale civico di Palermo. Assieme a lui perdono la vita la moglie Francesca e i sei agenti della scorta. Si salvano miracolosamente un ventina di persone che al momento dell'attentato si trovano a transitare con le proprie autovetture sul luogo dell'eccidio. Ma non è finita. Due mesi dopo, il 19 luglio del 1992, in via d’Amelio a Palermo, una seconda carica di 100 kg di tritolo posizionata a bordo di una vecchia Fiat 126 strapperà la vita anche di Paolo Borsellino e dei cinque uomini della scorta. Se ne vanno così nell’arco di due mesi i due principali magistrati del pool antimafia, artefici del primi maxi processo contro Cosa Nostra: da quel processo scaturirono 360 condanne per complessivi 2665 anni di carcere e la mafia per la prima volta dovette seriamente fare i conti con la giustizia dello Stato. Fortunatamente di fronte a quelle immagini di morte la Magistratura, le Forze dell'ordine non persero la volontà di perseguire la lotta egli ideali che furono di Falcone e Borsellino e al loro lavoro per la prima volta si accompagnarono l'attenzione di tutte le forze politiche e la partecipazione convinta dei cittadini. Un impegno che quotidianamente ancor oggi deve essere perseguito da tutti a sedici anni da quelle stragi.
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Giovanni Falcone (Palermo, 18 maggio 1939 - 23 maggio 1992)
Paolo Borsellino (Palermo, 19 gennaio 1940 – 19 luglio 1992)
Magistrati antimafia ed eroi italiani.
« Chi tace e chi piega la testa muore ogni volta che lo fa, chi parla e chi cammina a testa alta muore una volta sola. »
« L'importante non è stabilire se uno ha paura o meno,
è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa.
Ecco, il coraggio è questo, altrimenti non è più coraggio ma incoscienza.»
Ho caricato alcune mie foto in Panoramio, il mappamondo fotografico virtuale di Google. A breve verranno sottoposte alla valutazione del sistema automatico di selezione e, se ritenute d'interesse, inserite nelle mappe di Google Earth. Dopo la registrazione gratuita al servizio si hanno a disposizione 2 GB di spazio per caricare le proprie fotografie di luoghi, paesaggi e scorci. Per ogni immagine inserita è possibile effettuare una localizzazione sulle mappe di Google (Google Maps) e per ogni utente viene composto un proprio album personale condivisibile con altre persone. Appena viene caricata, alla foto viene assegnato un identificativo numerico univoco e viene accodata nel sistema automatico di valutazione per Google Earth; nell'arco di un paio di settimane, se ritenuta significativa, viene segnalata come punto d'interesse (un pallino blu) e pubblicata sulle mappe di Google Earth. In attesa dell'insindacabile giudizio della grande G, ecco i miei primi esperimenti con Panoramio di Google http://www.panoramio.com/user/1780776 : sono alcune viste di Arona, Angera, Castelletto, Sesto Calende, Orta S. Giulio, del Ticino e della vecchia ferrovia del mare di Varazze. La cosa interessante è che, cliccando sull'immagine, viene mostrata la localizzazione sulle mappe di Google, i dettagli tecnici della foto, ed è possibile scaricare il file KLM da caricare su Google Earth. Stay tuned for news!
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